"Vaffanculo Barone!”. Questo è il titolo originale di un articolo pubblicato in lingua inglese su “London Review of books” del 4 marzo 2021 e scritto da un docente universitario di nome John Foot. Per la serie, il prestigio e l’autorevolezza dell’università italiana all’estero, pari a una barzelletta.
E’ riproposto in Italia, questa settimana, dalla rivista “Internazionale” con il titolo, un po’ più "politically correct", “Studiare tra i baroni”.
Siccome sostiene cose che noi di “Trasparenza e Merito” affermiamo da quando siamo nati, può essere utile pubblicare l'articolo (in allegato in entrambe le versioni, italiana e inglese).
Qualche stralcio:
“Ho vissuto in Italia per vent’anni, giorno più giorno meno, e anche se non ho mai lavorato a tempo pieno in un’istituzione italiana ho avuto abbastanza a che fare con le sue università da non sorprendermi per le accuse di corruzione. Per fare carriere in un’università italiana bisogna affiancare assiduamente un professore ordinario, di solito un uomo, di solito di una certa età. Questi personaggi immensamente potenti sono noti come “baroni”, e possono essere di destra o di sinistra. Tutti gli incarichi e gli altri privilegi passano per le mani dei baroni: senza un barone dalla vostra parte potete anche gettare la spugna. In genere all’università le docenze sono assegnate con un concorso pubblico aperto a chiunque abbia le qualifiche necessarie, ma in pratica di solito i concorsi sono manovrati. Sono concepiti in funzione di una sola persona, di solito il candidato interno, che aspetta quel particolare concorsi da anni. Il nuovo ricercatore o professore associato deve il suo lavoro al barone, e gli resterà fedele. Con il tempo e un po’ di fortuna , i nuovi arrivati potranno a loro volta diventare baroni. Il contrasto tra le regole ufficiali e la loro applicazione è una caratteristica tipica dell’Italia. Queste reti di potere e clientelismo sono state studiare anche dagli antropologi, per esempio le reti di rapporti familiari e parentali si estendono per generazioni. Le controversie e le divisioni spesso ruotano intorno ai baroni principali. In una università sono stati creati due dipartimenti autonomi ma sostanzialmente identici intorno a due studiosi potentissimi ed enormemente influenti. Molti accademici rimangono nella stessa università dove hanno studiato (e che spesso ha sede nella loro città natale). Trasferirsi, tagliare i legami con l’istituzione madre equivale a un suicidio per la carriera. Un accademico affermato usa spesso un giovane ricercatore per fare il lavoro che non ha avuto il tempo o la voglia di portare a termine di persona. Tu continui a stare lì, con la testa bassa, sapendo che i meriti del tuo lavoro saranno attribuiti ai grandi professori, fino a quando arriverà il momento tanto atteso e sarai ricompensato con un incarico assegnato tramite concorso. MA anche dopo dovrai porgere i tuoi rispetti al barone in ogni occasione favorevole, organizzare eventi speciali in suo onore, citarlo continuamente nel tuo lavoro (…) L’istituzione universitaria in quanto tale non è mai stata riformata. Le gerarchie non sono mai state messe davvero in discussione. Le università sono rimaste esamifici (…) Gran parte della vita universitaria è teatro, forse soprattutto in Italia, e che l’apice è rappresentato dalla discussione della tesi. I professori in toga sono seduti dietro la cattedra in una piccola aula. Uno studente sta appollaiato su una sedia davanti a loro. Familiari e amici sono raggruppati in uno spazio riservato agli spettatori. Forse sì e no uno dei professori ha veramente letto la tesi (potrebbe anche non essere la persona designata come relatore del candidato), ma sono tutti provvisti di una copia rilegata. C’è una rapida presentazione della tesi da parte dello studente, qualche domanda. Poi lo studente e il suo gruppo escono dall’aula. A questo fa seguito una discussione privata che in realtà è un gioco di potere. Tutti gli studenti promossi, perciò il dibattito riguarda solo il voto finale. Il massimo è 110 e lode , e questo riconoscimento ha spesso più a che fare con la politica interna della facoltà che con la qualità del lavoro dello studente (…) Una volta ho esaminato una tesi di dottorato in un’università dell’Italia centrale, una delle più antiche e prestigiose del mondo. Mi è sembrato che, parlando con lo studente, i professori in realtà si rivolgessero al pubblico. Alcuni si erano preparati con cura, altri si erano limitati a scribacchiare qualche appunto sul retro della tesi. La prassi non prevede una relazione ufficiale. Per qualche motivo, il relatore dello studente cercò di abbassare il voto. Non capii perché. La spuntò, anche se lo studente non saprà mai per colpa di chi (…) La maggior parte degli studenti che ottengono il dottorato si metterà a fare altro invece di restare a lavorare gratis o con contratti a termine. Così il sistema rafforza il ruolo dei baroni, con un gran numero di aspiranti accademici che competono per un numero di cattedre sempre più esiguo. Di tanto in tanto scoppiamo scandali, ci sono anche degli arresti, inchieste. Ma finisce tutto nel nulla”.
Leggi l'articolo su "Internazionale" del 16 aprile 2021
Leggi l'articolo (Immagine 1 - Immagine 2) su "London Review of books" del 4 marzo 2021
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