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Università bandita: la procura conferma l’associazione a delinquere per dieci docenti di UNICT

L’avviso di chiusura delle indagini preliminari firmato dalla Procura, reso noto solamente pochi giorni fa, è stato depositato l’11 dicembre 2019 e riguarda i principali 10 indagati e presto imputati nell’inchiesta “Università Bandita” che svolgevano il ruolo di protagonisti rispetto ad altri docenti comunque coinvolti in una associazione illecita volta a decidere illegittimamente e preventivamente il reclutamento dell’ateneo di Catania: Francesco Basile (capo, in qualità di Rettore), Giacomo Pignataro (promotore, in qualità di Rettore), Giancarlo Magnano di San Lio (partecipe, in qualità di proRettore), Filippo Drago, Roberto Pennisi, Giuseppe Barone, Maria Cavallaro, Giovanni Gallo, Carmelo Monaco e Giuseppe Sessa (partecipi, in qualità di direttori di diversi dipartimenti).

Tutti risultano indagati per i seguenti reati contro la pubblica amministrazione e perché associatisi tra loro allo scopo di commetterli (art. 416 del codice penale): turbata libertà del procedimento di scelta del contraente con i quali orientavano il reclutamento del personale docente e non dell’ateneo di Catania; abuso d’ufficio; induzione indebita a dare o promettere utilità; corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio; falso ideologico e materiale; reati finalizzati a garantire la nomina come docenti, ricercatori, dottorandi e personale amministrativo di soggetti preventivamente individuati dagli stessi associati, sanzionando illegittimamente le condotte dei soggetti estranei che tentavano di entrare all’interno dell’ateneo attraverso la libera partecipazione ai pubblici concorsi.

I dipartimenti coinvolti sono: Scienze biomediche e biotecnologiche, Chirurgia generale, Economia e Impresa, Ingegneria Civile a Architettura, Matematica e Informatica, Scienze biologiche, Geologiche e Ambientali, Scienze Chimiche, Scienze del Farmaco, Scienze Politiche e sociali, Giurisprudenza, Scienze mediche, chirurgiche e tecnologie avanzate, Scienze Umanistiche.

I concorsi presi in esame nelle indagini sono 27, il numero dei docenti coinvolti nel complesso supera l’ottantina, non solo dell’ateneo catanese ma che lavorano negli atenei di Bologna, Cagliari, Catania, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona.

I metodi usati dai protagonisti di queste vicende hanno dell’incredibile: i bandi di concorso erano scritti sulla base delle esigenze del vincitore predeterminato, le commissioni svolgevano delle valutazioni farsa perché i commissari venivano già istruiti a dovere sull’esito, in alcuni casi erano gli stessi candidati che dovevano vincere a scrivere i giudizi delle commissioni, coloro che accettavano questo sistema spartitorio e clientelare ottenevano benefici, coloro, in pochi per la verità, che osavano ribellarsi a questo sistema illegale erano considerati come “stronzi” da schiacciare e venivano costretti a subire ritorsioni, abusi, ingiustizie, isolamento. E’ molto verosimile che questi metodi, verificati solo nell’arco temporale delle indagini, fossero la prassi anche prima: il risultato di un tale scempio è stata dunque l’alterazione dei concorsi pubblici dell’ateneo, in tutti i settori scientifico-disciplinari, con l’esito di mettere in cattedra o nei posti da ricercatore persone selezionate non sulla base di criteri trasparenti e meritocratici ma sulla base di considerazioni di raccomandazione e di amicizia, con un progressivo continuo abbassamento del livello della scientificità delle materie e dei corsi, quindi del servizio agli studenti. Il calo enorme delle iscrizioni negli ultimi anni ne è l’inesorabile certificazione. Inoltre questo reclutamento drogato e pilotato ha comportato un aumento incontrollato delle spese relative al personale docente che ha portato sull’orlo del dissesto finanziario, come certificato nel recente documento dei revisori contabili dell’ateneo.

L’associazione Trasparenza e Merito aveva chiesto al Miur, dopo aver letto la documentazione e dopo la conferenza stampa del procuratore Zuccaro che aveva usato toni molto forti e pesanti che lasciavano intendere la gravità dei reati commessi, il commissariamento dell’ateneo. Sarebbe stato necessario da parte delle Istituzioni, da parte del Governo e del Ministero, un atto di forte censura pubblica sul comportamento emerso all’Università di Catania, anche perché, come avevamo sottolineato, le azioni di abusi e reati comportavano chiaramente una ricaduta gravissima anche in termini di bilancio finanziario dell’ateneo. Sarebbe servito, almeno in una fase intermedia, per porre in atto un risanamento, una bonifica dell’ateneo rispetto alle vicende emerse nell’inchiesta, delle modalità di reclutamento, delle spese e della programmazione.

Siamo a conoscenza invece di atti che dimostrano una assoluta continuità con il recente passato: il caso Scirè, vittima di abusi ripetuti nel corso degli anni, non è stato neppure preso in considerazione dal nuovo rettore Priolo, nel senso che non è stata disposta alcuna proroga del biennio del contratto che gli è stato scippato, mentre risulta che alcuni dei candidati vincitori dei concorsi truccati citati nell’inchiesta della procura siano in procinto di ottenere addirittura un avanzamento di carriera, nientemeno che un premio per aver contribuito ad alterare le procedure pubbliche.

Di fronte a tutto ciò e di fronte all’inerzia delle istituzioni preposte al controllo e alla garanzia degli atti degli atenei, che sembrano essere sempre più dei “far west”, dei luoghi intoccabili gestiti da “signori” e “famiglie”, in cui le leggi dello Stato italiano non vengono rispettate, l’associazione Tra-Me non può fare altro che proseguire la sua martellante azione per indurre sempre più cittadini alla denuncia alle autorità giudiziarie e informare l’opinione pubblica dello scempio delle leggi e dell’uso personalistico o di lobby del reclutamento che viene fatto in molte università italiane con i soldi pubblici.

Un giorno qualcuno dovrà ringraziare l’associazione, a differenza di chi si è voltato dall’altra parte di fronte agli abusi per quieto vivere o per complicità, per essersi battuta con tenacia e determinazione nel tentativo di tenere alto di fronte agli occhi del mondo intero, nel rispetto della legalità, della giustizia, delle regole, della trasparenza e del merito, il nome di una istituzione millenaria, in passato simbolo massimo di scienza e di cultura, come l’università italiana.



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