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Tra-Me sul "Corriere": "Università e merito, non torniamo allo Statuto"

Aggiornamento: 28 apr 2021

Sul "Corriere della Sera" del 20 giugno 2019, la posizione del portavoce di «Trasparenza e merito. L’Università che vogliamo», Giambattista Scirè (ricercatore universitario) dopo l’editoriale "La nostra Università ha bisogno di aiuto" di Walter Lapini sul Corriere di qualche giorno fa.


Università e merito, non torniamo allo Statuto


Caro Direttore, giorni fa il Prof. Lapini ha scritto un interessante articolo dal titolo «La nostra università ha bisogno di aiuto» nel quale, rimpiangendo i concorsi di vecchio stampo, anch’essi totalmente predeterminati, ricordava che con l’attuale metodo di reclutamento, dopo la legge Gelmini, un candidato sgradito al dipartimento e al sistema non ha chance anche se è un vero studioso perché le commissioni «on demand» sono decise in modo tale che vinca sempre chi deve vincere. In sostanza il prof. Lapini ha ammesso che i concorsi pubblici nell’università italiana sono tutti una farsa.

Bene, fa piacere che alcuni docenti ordinari inizino a dirlo perché è quello che sosteniamo noi di «Trasparenza e merito. L’Università che vogliamo» da quando siamo nati, mentre tutti ci davano dei matti. Il fatto è che la nostra associazione, che ormai ha raggiunto quasi i 400 iscritti tra ricercatori e docenti (precari e strutturati) e i 2400 sostenitori in tutta Italia, sostiene queste cose non sulla base delle sensazioni o delle voci di corridoio ai concorsi, ma sulla base di cifre e dati fattuali: abbiamo fatto circa 220 comunicati, abbiamo ricevuto 250 segnalazioni, più della metà delle quali si sono trasformate in ricorsi alla giustizia amministrativa o in denunce penali, abbiamo ricevuto centinaia di «pec» con i bandi cosiddetti «profilati, sartoriali o fotografia» (bandi che, come hanno stabilito le recenti sentenze, sono illegali perché non conformi agli articolati della legge Gelmini) e i nomi dei candidati predestinati a vincere che, guarda un po’, nel 99% dei casi si sono rivelati esatti.

Le sentenze che abbiamo suscitato hanno creato dei precedenti giuridici devastanti su molteplici aspetti di irregolarità in più fasi e livelli delle procedure concorsuali. Il sistema universitario italiano, per andare oltre le pur giuste osservazioni del prof. Lapini, è sicuramente un sistema familistico, nepotistico e clientelare, molto spesso fortemente corrotto e in alcuni casi estremi agisce con metodi e modalità mafiose (ritorsioni, minacce, omertà). Stiamo parlando infatti di casi con reati pesanti ai concorsi: «conflitto di interesse», «abuso di ufficio», «falso ideologico», «concussione», e in alcune situazioni è stata allertata la Corte dei conti per ingenti danni erariali.

Chi può interferire all’interno del santuario del sapere per eccellenza ovvero gli atenei? Nessuno, a quanto pare. Dal Medioevo ad oggi le università godono, sostanzialmente, di una autonomia pressoché totale, che è stata se possibile ancor più aumentata a partire dal 2010. Prima di questo spartiacque - lo vorrei ricordare al prof. Lapini, i concorsi erano ugualmente irregolari perché predeterminati ma per i candidati esclusi ingiustamente non c’erano neppure gli estremi e gli elementi per poter ricorrere al Tar e al Consiglio di Stato, essendo prevista una prova scritta e orale totalmente a giudizio discrezionale (leggi: arbitrio assoluto) delle commissioni e non una valutazione esclusivamente su titoli e pubblicazioni (dati fattuali e oggettivi).

No, non è il caso di tornare allo Statuto. La verità è che nell’Università italiana, allora come oggi, i concorsi universitari sono già tutti decisi prima dell’esito perché così sta bene a chi manda avanti la baracca. Gli altri candidati, in particolare i più preparati e titolati, o non partecipano per non creare problemi, oppure se partecipano sanno già che non vinceranno e che dovranno aspettare, buoni e zitti, ognuno il proprio turno. Chi si ribella a questa regola non scritta sarà tagliato fuori per sempre.

Il prof. Lapini chiedeva aiuto, non si sa bene a chi: ai docenti stessi che truccano i concorsi? No, l’università ha dimostrato, nel corso di decenni, che da sola non si auto-riforma. Alla politica, cioè al Miur o all’Anvur? Purtroppo, fino al recentissimo passato, a noi risulta anzi che il Miur, l’Anvur e la sua Direzione Generale, in aperto conflitto di interessi con la Crui, abbia sempre fatto da sponda e dato pareri di approvazione alle opache e irregolari modalità di reclutamento. Noi crediamo che debbano essere proprio i ricercatori e i docenti che hanno denunciato gli abusi, ovvero la parte buona e onesta presente negli atenei, rappresentata da associazioni come la nostra, come l’ «Osservatorio indipendente sui concorsi universitari», che hanno iniziato da tempo un’azione concreta di discussione pubblica sui casi di mala università e di proposta di modifiche al reclutamento, ad essere chiamati in causa per trovare soluzioni adeguate.

Ve ne proponiamo alcune (ma abbiamo già scritto e detto molte cose al riguardo sul sito). Basterebbero alcune semplici modifiche attraverso una proposta di legge: abolizione dei concorsi locali e ritorno al concorso nazionale, con un sorteggio simultaneo delle commissioni con numero allargato a 7-10 membri; determinazione preventiva da parte del Miur, per ciascun settore, dei punteggi minimo e massimo, espressi in centesimi, per tutti i titoli e pubblicazioni previsti dal decreto ministeriale 243/2011 per ricercatore, da estendere anche alle posizioni di I e II fascia; rideterminazione, secondo un modello più automatico, e riducendo al minimo la discrezionalità della commissione, dell’abilitazione scientifica nazionale; penalizzazioni in percentuale sui fondi ordinari per gli atenei che si rendono colpevoli di non vigilare con i loro uffici sulle irregolarità (ad esempio il 5% in meno per chi propone bandi profilati, per chi non sanziona conflitti di interessi e illogicità di valutazione e non adegua le commissioni alle norme previste dall’Anac); sospensioni e multe pesanti per i commissari che si sono macchiati di irregolarità a livello di giustizia amministrativa o di reati penali ai concorsi, in modo che non paghi la collettività ma i reali responsabili.

L’Università è un bene pubblico, una cosa troppo seria per essere lasciata in mano a docenti che fanno interessi privati, personali o di lobby con i soldi pubblici, nel disprezzo più totale delle regole, della legalità, della trasparenza e del merito. Se in fondo la classe dirigente è quella che ci troviamo oggi è anche per colpa di una istituzione universitaria che ha perso totalmente la sua credibilità e la sua funzione di selezione e di guida, per la ricerca e l’istruzione, del paese.


Giambattista Scirè - Trasparenza e merito. L'Università che vogliamo


Leggi l'articolo on line sul "Corriere della Sera" del 20 giugno 2019



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