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Simboli e fatti: UniCT, se perfino il cambio del logo sostanzia un metodo di abuso di potere

L'articolo pubblicato su "Sud Press" del 15 febbraio 2021.


"Fa impressione che un evento apparentemente simbolico riesca a suscitare sdegno e riprovazione molto più che la sostanza stessa dei fatti - questi sì veramente vergognosi e oltraggiosi - che, come abbiamo letto tutti – si sono compiuti tra le mura dell’Ateneo di Catania e che vedranno presto entrare nel vivo, a questo proposito, le udienze del processo denominato “Università bandita”.

Se 1+1+1 è uguale a 3 ci pare ovvio, quasi scontato, che i metodi e le prassi abituali di “autoritarismo del capo” e “abuso di potere” non possano cambiare certo con un banale restyling nel giro di pochi mesi.

Almeno in un Ateneo dove, fino qualche tempo fa - come documentano le intercettazioni dell’inchiesta penale -, il precedente Rettore Basile, il suo predecessore Pignataro, nonché alcuni capi dei dipartimenti usavano frasi come “quando abbiamo ripartito i posti di ricercatore” “si tratta di fare un passo indietro, adesso, per avere il concorso tranquillo liscio come l’olio tra due mesi” “non è un’attività illegale ma insomma...gli fai una telefonata e gli preannunci un bigliettino…così mando un autista in giro con tutte queste buste” “gli studenti me li chiamo io e gli dico l’indicazione è questa” “abbiamo fatto questo consiglio di amministrazione…abbiamo votato con i pizzini, in piena democrazia” “se non si dimette lo destituiamo” “non sono né io come singolo né lui come singolo ma stiamo lavorando insieme..un gruppo di persone che vogliamo vedere un attimino di sistemare al meglio la nostra situazione...” “famiglie che hanno piazzato centinaia di parenti” “insomma i concorsi universitari si fanno per predestinazione e per, insomma, clientela”. E tanto altro. In poche parole un Ateneo di docenti che consideravano l’istituzione alla stregua del cesso di casa.

In un Ateneo dove, appena eletto, il nuovo Rettore Priolo si affrettava a dare un segnale alla comunità accademica, o meglio sarebbe, forse, usare un termine più appropriato - “tribù” - che lo aveva eletto in continuità rispetto agli impegni di reclutamento presi dai suoi “illustri” predecessori: “Mi preme ragguagliarvi su un punto che sta a cuore a molti di noi: i concorsi e le prese di servizio. Vi dico subito che nello scorso Consiglio di Amministrazione abbiamo proceduto con le chiamate che erano in stallo e dato mandato di procedere con le nuove commissioni… Sia chiaro: le regole relative alla composizione delle commissioni non sono state toccate…Le scelte a favore di questa nostra proposta non rappresenteranno certo un giudizio di merito rispetto al nostro operato di sempre” (Lettera di Priolo al personale dell’Ateneo, 8 ottobre 2019). Come dire, tutto bene, procediamo come sempre, Madama la Marchesa!

Ma questo del simbolo è il classico caso in cui si squarcia il velo di un metodo che è quello che ha sempre contraddistinto i vertici di questo Ateneo e che, forse – ahi noi - sempre lo contraddistinguerà. È anche un classico caso di eterogenesi dei fini, ovvero di conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali. Di cosa stiamo parlando?

Semplice, del cambio del logo simbolo dell’Ateneo di Catania, reso noto qualche giorno fa.

Senza aver coinvolto adeguatamente la comunità accademica, né i docenti né gli studenti, il nuovo Rettore ha imposto dall’alto, con spesa di circa 8 mila euro, il cambio del logo dell’istituzione, affidando la modifica per realizzare la cosiddetta nuova “brand identity - per la serie “ tu vo fa l’americano” - ad una agenzia di comunicazione con sede a Milano (come se Catania non potesse esprimere menti e progetti altrettanto degni, tanto per dirne una).

Il nuovo logo, simboleggiante un elefante stilizzato, che sembra più quello “pop” di un gruppo musicale o quello “sportivo” di una squadra di basket Nba, piuttosto che lo stemma di una istituzione culturale e storica millenaria, non ha affatto convinto la comunità accademica e quella studentesca ed ha suscitato riprovazione e sdegno anche da parte della società catanese, con critiche e polemiche emerse sui social e sentite anche per le strade.

Per dare l’idea dello stupore e del malcontento diffuso, basti riportare il testo del messaggio sms inviato da un noto professore ordinario dell’Ateneo: “Ho ricevuto ieri una telefonata di un collega, preoccupato per le voci su una presunta volontà dell’Ateneo (e Tua in particolare, ndr “del Rettore”) di cambiare l’emblema e il nome dell’istituzione…Manifesterò pubblicamente il mio dissenso da questa iniziativa, che - soprattutto in questo momento della vita dell’Ateneo - giudico del tutto intempestiva e inopportuna… Tutti i loghi degli atenei più antichi hanno una impostazione grafica simile perché vogliono rappresentare una precisa tradizione comune, direi nazionale. D’altronde siamo una università statale e pubblica. Ma ti immagini se Harvard o la Columbia si sognerebbero di modificare il simbolo? Il simbolo di una istituzione storica è fondamentale… Capisco che ci sono cose più importanti ma io credo che il simbolo (e il nome…pare infatti che si parli di cambiare anche quello) costituiscano la sintesi di una “visione” che comprende tutte le altre cose importanti per la vita della nostra comunità accademica”.

Altrettanto significative le parole scritte dagli studenti, che contro il nuovo logo hanno promosso addirittura una petizione pubblica su change.org e che hanno votato in modo negativo nella seduta di approvazione del logo al Consiglio di Amministrazione: “Questa scelta è stata frutto, per l’ennesima volta, del mancato coinvolgimento della rappresentanza studentesca e del mancato dialogo con l’Ateneo. "Alleanza universitaria non entra nel merito in ordine al design, all’attrattività e al dispendio economico, ma indubbiamente non passa in secondo piano il fatto che si è preferito svolgere un’indagine di mercato volgendo lo sguardo verso aziende del nord Italia dimenticandosi di meritevoli aziende siciliane e dell’Accademia delle Belle Arti di Catania che vanta studenti e docenti esperti nel settore che hanno portato a termine diverse opere di utilità pubblica. Ai fini di una democratica e trasparente amministrazione potrebbe essere più opportuno essere più aperti al dialogo con i rappresentanti degli studenti e non solo, soprattutto a fronte della situazione pandemica che stiamo ormai vivendo da un anno in tutto il territorio nazionale. Continuano a manifestarsi episodi che non ci permettono ciò poiché si sta prestando attenzione a fatti e cose che distolgono lo sguardo dai veri problemi amministrativi e didattici di cui il nostro Ateneo soffre”.

Eh già, distogliere lo sguardo dalla sostanza e gettare un po’ di fumo negli occhi della gente. Sintesi perfetta.

Ma c’è un aspetto più generale del rapporto tra immagini/simboli e fatti/parole che a nostro avviso andrebbe toccato, approfondito. Non è forse vero che i simboli, più o meno vuoti, più o meno post-moderni, più o meno ritoccati, senza i fatti veri, concreti, fulgidi di cambiamento, parlano solo i linguaggi della mistificazione e della menzogna?

Un logo rinfrescato, modernizzato, può forse spezzare il continuum storico senza la profondità dei gesti e delle azioni dei docenti? L’università è fatta di uomini, non di simboli o di loghi e tanto meno di slogan. E a noi non sembra che nella programmazione didattica e ricerca dell’Ateneo e tanto meno nel reclutamento del personale docente, la nuova gestione abbia cambiato alcunché, anzi. Ecco perché il surreale cambio del logo si stacca dal simbolo in sé e, invece, lascia affiorare quello che è un metodo e una prassi di abusi che ben conosciamo, purtroppo. Ce n’è quindi abbastanza per pensare che il rapporto tra i fatti (la storia) e l’immagine (il simbolo/logo), così come il rapporto tra questa (nuova?) classe dirigente, che si esprime bene con il nuovo logo dell’ateneo, anzi che addirittura si simboleggia in esso, e la cittadinanza, debba necessariamente esaurirsi in un groviglio di sfiducia e di sdegno. Forse ancora maggiori che della precedente, perché ancor più amare in quanto velate dall'ipocrisia.

Per questa ragione - cioè a dire per il modo (con sprezzo autoritario) in cui è stato deciso il cambio del logo, senza alcun coinvolgimento della comunità accademica e cittadina, ma in realtà per quello che non è stato fatto realmente e concretamente per porsi in reale discontinuità con il triste e vergognoso recente passato dei concorsi truccati (come l’immediata costituzione di parte civile al processo avrebbe invece dimostrato) – chiediamo ufficialmente le dimissioni immediate dell’attuale Rettore."


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