Tre sentenze nelle ultime settimane su bandi delle università di Pescara, Foggia e Macerata hanno archiviato denunce sulle selezioni su misura: "Con la depenalizzazione dell'articolo 323 non si può procedere", scrivono i giudici. I legali: "Create praterie di impunità". L'articolo di Corrado Zunino su "Repubblica" del 21 gennaio 2021.
ROMA - "Si è aperta una prateria di impunità". La riforma dell'abuso di ufficio ha chiuso ogni contestazione, tra le altre, sulla questione dei concorsi universitari, un elemento friabile del mondo accademico italiano e mai affrontato dalla politica italiana. Nelle ultime settimane tre ricorsi penali, a Pescara, a Foggia, a Macerata, sono stati archiviati da giudici o hanno fatto richiesta di archiviazione le stesse accuse. In tutti i casi, per "insussistenza del fatto". Le scelte dei tribunali non sono dipese dall'impossibilità di dimostrare un favoritismo nei confronti di un candidato prescelto o dalla difficoltà di portare prove di fronte a un bando costruito su una figura specifica. L'insussistenza era sempre collegata al dimagrimento dell'articolo 323 del codice penale, avvenuto con la cosiddetta "riforma" del 23 luglio, caricata dal governo all'interno del Decreto semplificazioni.
Il ricasco di questa riforma sui processi collegati a concorsi d'ateneo lo si comprende bene, adesso, con le motivazioni emanate dal Gup di Pescara, depositate il 23 dicembre e in queste ore nella disponibilità delle parti.
La candidata Agnese Rapposelli aveva fatto ricorso contro tre componenti della commissione esaminatrice per un bando che avrebbe assegnato un posto da ricercatore di Statistica al Dipartimento di Economia aziendale all'Università di Pescara-Chieti. L'accusa rivolta ai tre esaminatori, e già riconosciuta come consistente da Tar e Consiglio di Stato, era quella di aver inserito, contro le indicazioni di un decreto del ministero dell'Università e della Ricerca, diversi titoli di un candidato anche se non erano previsti dal bando di gara e di averli poi pesati per la valutazione finale in maniera arbitraria. Bene, il giudice non ha ritenuto che ciò non fosse avvenuto, ma che, a causa della riforma, di fatto il reato sia stato depenalizzato. Ha scritto il Gup Nicola Colantonio: "L'inosservanza delle regole contenute nel bando di concorso non può avere rilievo per la configurabilità del reato all'articolo 323 del codice penale atteso che trattasi di violazione di un mero atto amministrativo".
Il giudice si è preso la briga di scrivere nelle motivazioni della sentenza: "Non può tacersi che l'articolo 323 veniva novellato in forza delle disposizioni del decreto del luglio 2020 trasformato poi in legge". Il reato, prosegue il giudice, "si può configurare solo in violazione di regole di condotta aventi forza di legge, cioè da fonti primarie". Se si viola un bando di gara - che non è una legge, ma un atto amministrativo - non si commette più reato. E questo dallo scorso luglio.
Simili conclusioni in tribunale ci si sono state per ricorsi nei confronti di bandi emessi dall'Università di Macerata (qui c'è stata una richiesta di archiviazione della procura) e dall'Università di Foggia (dove in gioco c'è un'ipotesi di violazione del regolamento di ateneo al Dipartimento di Agraria). "Ora si aprono praterie di impunità", scrivono i legali dei denuncianti. E il presidente dei penalisti di Foggia, avvocato Paolo D'Ambrosio, scrive: "Il governo guidato dai Cinque Stelle ha finito con lo spazzare via la norma del nostro codice penale che rappresentava un vero baluardo di tutela dei cittadini contro gli abusi e le ingiustizie commessi da chi amministra la cosa pubblica".
Giambattista Scirè, animatore dell'Associazione "Trasparenza e merito", dichiara: "Questo governo ha fatto un regalo alla lobby degli accademici e la Cassazione ha conferito alla pietra tombale del diritto un valore retroattivo, ci rivolgeremo alla Corte di giustizia europea".
Leggi l'articolo integrale su "la Repubblica" del 21 gennaio 2021
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