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La battaglia di Trasparenza e Merito e dei docenti penalizzati ai concorsi universitari

L'intervista a Giambattista Scirè, amministratore e responsabile scientifico di Trasparenza e Merito: "C'è cooptazione non virtuosa mascherata da concorso nelle Università italiane", pubblicata su "Bonculture", magazine di cultura, agrifood e stile di vita in Italia.


Un punto di rifermento per coloro che intendono contrapporsi ad episodi di irregolarità nei concorsi universitari. E' questo il network associativo "Trasparenza e Merito", che raccoglie docenti, ricercatori e quanti sentono di aver subito un torto dal sistema universitario italiano, spesso attraversato da nepotismo e favoritismi clientelari e baronali di ogni tipo.


L'Amministratore e portavoce dell'Associazione è Giambattista Scirè, con gli associati fondatori Adamo Domenico Rombolà, Antonella Fioravanti, Cecilia Scoppetta, e a cui si sono affiancati i colleghi Agnese Rapposelli, Alice Baradello, Anna Maria Monteverdi, Antonio Zuorro, Oreste Gallo, Francesco Saverio Regasto. Dalla Puglia c'è la presenza del tecnologo alimentare Sandro Del Nobile, grande accusatore dell'ex rettore dell'Università di Foggia, da cui è partita una spinosa indagine sui fondi europei e su alcuni progetti di ricerca di cui hanno scritto ampiamente le cronache pugliesi e il Fatto quotidiano.

Noi di "bonculture" abbiamo intervistato il professor Giambattista Scirè, a cui si dà rigorosamente del tu.


- Come nasce la rete dei docenti?


L'associazione “Trasparenza e Merito” nasce nel novembre 2017 a seguito di un appello da me rivolto durante un video messaggio su facebook a quei colleghi che avessero subito ingiustizie ai concorsi universitari e che intendessero renderle pubbliche. Ci siamo ritrovati in dieci in uno studio di Roma a Trastevere e così è nato il gruppo. L'evento venne seguito dalle telecamere di “Repubblica tv” e dai giornalisti del “Fatto quotidiano”. Oggi siamo 600 tra docenti strutturati e ricercatori precari, provenienti da quasi tutti i settori scientifico disciplinari e da tutti gli atenei, compresi tra i 20 e i 75 anni: 351 di sesso maschile e 249 femminile, divisi in 104 tra professori ordinari e associati, 273 tra ricercatori, e il resto (223) formato da varie tipologie di giovani studiosi (dottori di ricerca, assegnisti, borsisti, post-doc, contrattisti). Si tratta ancora di una esigua - seppure agguerrita – minoranza nel complesso. A questi vanno poi aggiunti i circa quattro mila “sostenitori” sui social network che rilanciano e commentano le attività, cittadini interessati alle questioni del miglioramento della legalità e della trasparenza nell’università e nella ricerca, intesi come assi portanti del futuro del Paese. Questo è il nostro sito: https://www.trasparenzaemerito.org/


- Come hai fatto ad aggregare così tante esperienze?


La prima ragione è stata la perseveranza e il coraggio nella denuncia pubblica e giudiziaria della mia kafkiana vicenda come vittima della mala università. In 9 anni ho fatto fare varie interrogazioni parlamentari, ho avuto il riconoscimento di tre sentenze amministrative, una sentenza penale e una sentenza contabile, tutte a mio favore, e sono stati scritti sul mio caso circa 150 tra articoli, editoriali (solo Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” ne ha scritto per ben 4 volte in 4 anni) e interviste televisive (li trovi sul mio sito personale: http://www.giambattistascire.it/). Questa costanza di azione mi ha fatto diventare il punto di riferimento per tanti colleghi, che si sono rivolti a me per avere consigli su come muoversi durante l'avvio di un contenzioso con un ateneo per un concorso irregolare. L'altro aspetto fondamentale è stata, credo, la disponibilità ed empatia nel momento in cui entro in contatto con un/una collega che ha subito le mie stesse ingiustizie e ritorsioni, che invoglia molto all'aggregazione.


- Il baronato universitario è inevitabile e la sua diffusione non si può combattere?


Fin dai tempi dell'Unità d'Italia e con la nascita della Repubblica, l'Università, nonostante inizialmente fosse centralizzata con direttive del Ministero dell'Istruzione, ha avuto sempre potentati e lobby che la gestivano in modo sostanzialmente autonomo. Con le leggi del 1998 e del 2010 (più nota come “Legge Gelmini”) l'autonomia sia finanziaria sia didattica degli atenei e dei dipartimenti è arrivata ad un punto tale da riuscire perfino ad evitare l'esecuzione corretta delle sentenze dei tribunali in caso di concorsi irregolari. L'Accademia italiana è fondamentalmente gerarchica, non premia il merito ma predilige la fedeltà e l'anzianità, e favorisce i candidati interni e di “scuola” piuttosto che quelli indipendenti e gli esterni. Stando così le cose, il livello della qualità scientifica dei docenti stessi e dei servizi formativi e della ricerca scientifica si è sempre più abbassato, come testimoniano i risultati impietosi nei ranking internazionali. Il baronato è storicamente inevitabile, ma si può contrastare con ricorsi e denunce, in modo tale da modificare, grazie a precedenti giuridici importanti, il sistema di reclutamento. A tal riguardo, l’associazione ha avanzato proposte concrete: ruolo unico della docenza universitaria; cancellazione dei concorsi locali; commissione nazionale sorteggiata; criteri di valutazione con una precisa griglia ministeriale; multe e procedimenti disciplinari per chi commette reati; diminuzione dei fondi ordinari per gli atenei scorretti. Di certo però questo non basta: occorre una radicale riforma legislativa sull'Università ed un cambiamento delle regole di elezioni della “governance”. Di queste cose ne parlo diffusamente nella rubrica su “MicroMega”, che mi permetto di segnalarti :


- Trasparenza e Merito è anche un punto di ascolto contro la mala università: quali servizi offrite?


Intendiamo rappresentare un punto di riferimento, di ascolto e di supporto per tutti gli studiosi i quali, anche non iscritti, intendano reagire ad episodi di mala-università; vogliamo offrire a tutti coloro i quali intendano avviare un contenzioso, suggerimenti e consigli qualificati, consapevoli e di esperienza sulle più efficaci e meno dispendiose iniziative da intraprendere, mettendoli in contatto con avvocati esperti di diritto amministrativo, penale, civile, diritto del lavoro; cerchiamo di rappresentare i più gravi episodi presso i mezzi di informazione, invitando le istituzioni ad assumere, rispetto ad essi, chiare censure sul piano dell’etica pubblica, del tutto indipendentemente dall'eventuale rilevanza penale (e, più in generale, giudiziaria) dei singoli episodi; cerchiamo di proporre direttamente - sussistendone i presupposti - ricorsi in sede di giustizia amministrativa (cosiddetti “ad adiuvandum”), nonché presentare esposti o denunce in sede penale, o costituendosi parte civile ai processi; intendiamo accreditarci come soggetto interlocutore con tutte le competenti istanze politiche sulle problematiche concernenti il reclutamento e la progressione in carriera dei docenti universitari, con particolare riferimento a proposte di riforma dell’attuale sistema dell'Università.


- Quanta consapevolezza c'è nel denunciare da parte dei candidati penalizzati ai concorsi?


A dire il vero la consapevolezza di quello che può significare un percorso di ricorso amministrativo o di denuncia, in realtà, è ben poca all'inizio. Di solito accade che il candidato che si considera penalizzato dalla valutazione della commissione e dall'esito del concorso decide di fare un accesso agli atti per verificarne la correttezza, scoprendo così tutta una serie di irregolarità. A quel punto, per rabbia e frustrazione, decide di avviare il contenzioso, rivolgendosi ad un legale. L' “inferno” dentro il quale entrerà è inimmaginabile all'inizio dell'avventura o impresa: gli si paleserà solamente nel corso del contenzioso, che di solito prende tempi lunghi e spesso assume risvolti inattesi, quali per esempio le ritorsioni delle controparti e dell'ateneo, quali il silenzio omertoso della maggioranza dei colleghi che per quieto vivere o per convenienza (scambio di favori) si voltano dall'altra parte. Di certo si tratta di un percorso costoso soprattutto in termini psicologici più ancora che economici che necessita di un supporto corale (per esempio il “crowfunding”).


- Ci sono più casi di concorsi truccati negli atenei del Nord o del Sud?


Se mi permetti farei una premessa. I colleghi iscritti all'associazione che hanno fatto segnalazioni, ricorsi o denunce, sono sparsi nei diversi atenei italiani in questa composizione geografica: 29% a Nord, 28% al Centro, 27% al Sud e isole, 16% dall’estero. Le Università più rappresentate in termini di associati sono Roma (“La Sapienza” + “Tor Vergata” + “Roma Tre”), Catania, Pisa, Torino, Milano e Padova. Nel corso di questi tre anni l’associazione ha ricevuto circa 535 segnalazioni certificate delle quali ben il 60% si è poi trasformato in ricorsi amministrativi o esposti. Tieni presente che, a seguito della spinta propulsiva di Tra-Me, i ricorsi amministrativi in ambito universitario sono aumentati del 40%. Sia le segnalazioni, sia i ricorsi sono equamente distribuiti tra Università del Nord, del Centro e del Sud, con una leggera prevalenza al Centro-Nord.


- Quanto è importante la dimensione dell'ateneo nella gestione, anche legalitaria, del processo concorsuale?


Considera che gli atenei più grandi (per presenza di docenti e iscrizioni di studenti), cioè a dire fondamentalmente i tre atenei romani, le Università statali di Milano, Bologna, Napoli, Torino, Pisa, Catania, Palermo e Bari, sono quelli con più casi di concorsi irregolari, semplicemente perché la maggiore quantità di concorsi e di settori scientifici coinvolti li rende statisticamente più soggetti agli abusi. Ciò detto, è evidente dai nostri dati che le stesse identiche dinamiche sono presenti in atenei minori, in università private e telematiche.


- Quasi sempre chi denuncia viene progressivamente isolato, ridimensionato nel suo ruolo di docente?


Togli pure il “quasi”. Se fai un ricorso amministrativo o un esposto in procura il sistema capisce che non fai parte dei “fedeli” e quindi cerca con ogni mezzo di tenerti fuori. Qualora tu dovessi riuscire ad entrare dopo il contenzioso, avrai vita difficile all'interno, perché le ritorsioni, il mobbing e la pressioni psicologiche saranno costanti. Considera che, chi agisce con correttezza e richiede a sé stesso e agli altri il rispetto delle regole e comportamenti etici, fa enorme fatica a relazionarsi e a convivere in un meccanismo fondato prevalentemente sul favoritismo e sullo scambio di favori. Inoltre andrebbe incentivata e migliorata la legge a tutela dei cosiddetti “whistleblowers”.


- Esistono casi di docenti depressi dalle lungaggini del contenzioso, in particolare adesso con la pandemia?


Hai toccato un punto molto importante e delicato. L'associazione, infatti, cerca di dare non solo un supporto pratico ma anche un aiuto psicologico a persone che molto spesso fanno fatica a reggere la pressione di anni di logoramento da contenzioso. In questo ultimo periodo, durante l'emergenza da Covid, abbiamo riscontrato un aumento di richieste di consigli telefonici, suggerimenti su come evitare di farsi intrappolare in una dimensione eccessivamente esclusiva e direi quasi ossessiva del torto subito.


- Quanto spesso le commissioni di concorso universitario svalutano o omettono titoli?


Nella quasi totalità dei concorsi avvengono azioni di favoritismo. Ma in parte è fisiologico, vista la discrezionalità insita nella valutazione di un qualsiasi concorso. Il punto è che la gran parte degli atenei e dei dipartimenti utilizzano risorse pubbliche, attraverso una cooptazione non virtuosa mascherata da concorso, per fare interessi privati o di alcuni gruppi di potere al loro interno. La maggiore tipologia di irregolarità commesse è quella del bando “sartoriale”, cioè ritagliato addosso al vincitore predestinato. Uno degli elementi di opacità più diffusi ai concorsi è il conflitto di interessi tra valutatori e valutati. L’altro aspetto decisivo è la non esecuzione corretta delle sentenze della magistratura: vale per le commissioni di concorso che dopo le sentenze continuano a far vincere i candidati raccomandati, vale per i dipartimenti che cercano con vari mezzi di annullare i concorsi qualora l’esito non sia quello predeterminato. La percentuale di segnalazioni a noi pervenuto di vincitori predestinati si è rivelata esatta in circa il 95% dei casi. Secondo un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet”, che cita una ricerca della nostra associazione, il 94% dei posti per professore associato e ordinario in Medicina assegnati nelle università toscane (Firenze, Pisa e Siena), dal 2012 al 2019, sono andati ad accademici che avevano rapporti assidui con quegli stessi atenei, mentre solo 6 volte su 100 selezioni hanno privilegiato ricercatori esterni, e su 221 concorsi ben 137, cioè il 62%, avevano un unico partecipante, quello che doveva vincere. È una fotografia impietosa ma reale dell'università italiana.


Leggi l'intervista integrale su "bonculture" del 17 dicembre 2020



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