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I concorsi all'Università di Catania truccati dai baroni. I pm: "È associazione a delinquere"

Aggiornamento: 22 mar 2021

La procura contesta a dieci tra ex rettori e direttori di dipartimento il reato associativo. Chiesto il giudizio per 55, ma tutti gli indagati continuano a insegnare: nessuno è stato sospeso o si è auto sospeso. E l’Ateneo non si costituisce ancora parte civile. L'articolo di Antonio Fraschilla su "L'Espresso".


Nelle stanze del tribunale di Catania, senza molto clamore, a breve potrebbe iniziare un processo a suo modo storico. Un processo che vedrebbe imputato per associazione a delinquere un pezzo della più alta classe dirigente della città. I vertici recenti dell'ateneo, tra i più grandi d'Italia: tre ex rettori e sette direttori di dipartimento dell'Università che secondo il procuratore Carmelo Zuccaro, l'aggiunto Agata Santonocito e i sostituti Marco Bisogni, Agata Vinciguerra e Santo Distefano, si sarebbero «associati» per decidere i vincitori di una miriade di concorsi. Una sorta di grande "tavolino" per stabilire chi doveva sedersi sulle cattedre più importanti dell'ateneo. Ed è proprio questo patto, e la contestazione dell'associazione a delinquere, il salto di qualità nelle inchieste sui concorsi truccati negli atenei italiani. Nel mirino della procura gli ex rettori Francesco Basile a Giacomo Pignataro, l'ex prorettore Magnano San Lio, e i direttori di dipartimento Giuseppe Barone, Michela Cavallaro, Filippo Drago, Giovanni Gallo, Carmelo Monaco, Roberto Pennisi e Giuseppe Sessa.


Questa «associazione» avrebbe fatto pressioni su concorrenti non graditi, modificato i criteri dei bandi a misura dei prescelti, promesso utilità a chi faceva un passo indietro per fare spazio al vincitore di turno. Insomma, comportamenti che vanno ben oltre quella che spesso è una cooptazione travestita da concorso. Almeno questo emerge leggendo le 43 pagine della richiesta di rinvio a giudizio. Alla prima udienza preliminare gli avvocati degli indagati hanno escluso qualsiasi reato associativo, il prossimo 17 marzo si terrà la seconda udienza preliminare e i legali hanno già annunciato che faranno dichiarazioni diversi ex rettori e docenti. Ma al di là dei reati contestati dalla procura, dalle carte, e soprattutto dalle intercettazioni dell'indagine, sembrano emergere comportamenti censurabili.


Ad esempio basta vedere come sarebbe stato organizzato il concorso di professore di prima fascia di Patologia generale all'interno del dipartimento di Scienze biomediche. Per questa cattedra il favorito dall'allora rettore Basile e dal direttore di dipartimento Drago era Massimo Libra. Ma al concorso partecipa anche Lucia Malaguarnera. Un problema. Si convoca quindi una riunione alla quale partecipa, fatto davvero singolare, anche il segretario della commissione di concorso, il professore Nicoletti. Seduti attorno a un tavolo, e convocata anche la Malaguarnera, i vertici non usano giri di parole: «…scusami Lucia, insomma questo è il concorso di Massimo, non è che hai speranza», le dicono. Aggiungendo, in soldoni, che da lì a poco avrebbero chiamato un altro concorso per lei, ma che se non ritirava la domanda ecco, il "suo" concorso non sarebbe mai stato chiamato.


Le indagini delle procure dentro i corridoi degli atenei sono rare, e molto delicate perché i due ambienti spesso sono frequentati dalle stesse "famiglie". Così la procura di Catania, indagando su un concorso per professore di prima fascia sempre nel dipartimento di Drago, incappa in una storia di raccomandazioni che coinvolge l'ex procuratore Vincenzo D'Agata, e la figlia Velia che ambiva a quel posto e chiedeva la chiamata con una procedura "riservata" come previsto dalla legge 240 del 2010, e non un bando aperto. Drago e Basile si spendono in questa direzione, non prima però di aver ricevuto «tale richiesta» anche dall'ex procuratore.


Scrivono i magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio: «Velia D'Agata richiedeva con insistenza (e in un'occasione alla presenza del padre che rafforzava tale richiesta interloquendo direttamente con il rettore) al direttore del dipartimento di Scienze biomediche e al rettore l'adozione del bando per Anatomia con la procedura riservata». In questo modo non avrebbe avuto concorrenti con i quali confrontarsi, visto che tra l'altro allo stesso posto era interessato un collega, Sergio Castorina. A quest'ultimo Drago dice chiaramente: «Quello che ti chiedo è che la cosa vada in questi termini…vorrei che tu facessi un passo indietro e non di presentassi a questo concorso…io nel giro di sei mesi sistemo tutto, ti bandisco un altro posto, sono io d'accodo con il rettore».


In un altro caso l'ex rettore Basile avrebbe concordato di posticipare un bando per ricercatore del dipartimento di medicina e chirurgia «fino al conseguimento della specializzazione da parte di Gianluca Testa, presupposto necessario per la partecipazione alla procedura». In soldoni, il giovane specializzando aveva già pronto un posto da ricercatore, ancor prima di conseguire la specializzazione: un trattamento che molti specializzandi nemmeno si sognano.


In alcuni casi il posto veniva assegnato al figlio del grande docente di turno. E per consentire l'assunzione interveniva anche il rettore di turno, invitando i colleghi a non disturbare il percorso per il figliol prodigo. Ad esempio come sarebbe accaduto al dipartimento di Economia. Il problema era far conseguire l'assunzione per un posto di docente di prima fascia ad Antonio Barone, figlio del più noto professore Giuseppe Barone, evitando però casi di incompatibilità. Scrivono i pm nella richiesta di rinvio a giudizio: «Pignataro nella qualità di rettore dopo aver deciso la chiamata di Antonio Barone e di altri due docenti ed individuato i dipartimento presso cui avrebbero dovuto prestare servizio, diramava a tutti i direttori di dipartimento un fittizio interpello ma contestualmente contattava i direttore di dipartimenti imponendo loro di non avanzare alcuna richiesta. Effettuava poi pressioni su uno dei componenti del dipartimento di Economia, Roberto Cellini, contrario alla chiamata del docente».


Scorrendo le carte della richiesta di rinvio a giudizio si arriva a un caso davvero incredibile: la messa in scena di un finto convegno per pagare dei benefit a una commissaria di concorso che poi avrebbe dovuto agevolare la vittoria del predestinato di turno. La storia, secondo i pm, si svolge al dipartimento di Scienze politiche. Qui tre docenti «con artifici e raggiri, simulano anche attraverso la predisposizione di una locandina, lo svolgimento di un convegno sul tema "I volontari italiani in Russia durante la grande guerra", e inducevano così in errore gli uffici amministrativi che erogavano in favore di Giovanna Cigliano (commissaria di un concorso per contratto da ricercatore) le somme di 460 euro per il volo andata e ritorno da Napoli a Catania, 300 euro per il vitto e un'altra somma per l'alloggio». Per i magistrati il tutto sarebbe avvenuto senza comunicare nulla del raggiro alla stessa Cigliano: «Giuseppe Barone ricopriva la qualità di ideatore. Nello specifico al fine di agevolare la trasferta del commissario Cigliano (anche al fine di renderla ancor più disponibile nei confronti di uno dei candidati al concorso) incaricava una collega di ideare un convegno da lui stesso definito "fantasma" con lo specifico fine di consentire all'Ateneo di anticipare le spese di trasferta della Cigliano».


In tutti sono 43 i concorsi che sarebbe stati pilotati, e in una seconda richiesta di rinvio a giudizio (nella quale però non si contesta l'associazione a delinquere) sono coinvolti altri 45 docenti. Tutti, tranne quelli andati in pensione, continuano a insegnare nell'Ateneo. Il nuovo rettore Francesco Priolo al momento non fa costituire l'Università tra le parti civili: attende il rinvio a giudizio. A colpire è comunque anche il silenzio assordante degli studenti, forse ormai assuefatti a certi meccanismi che considerano ormai normale prassi.


Ricordiamo che l'Associazione Trasparenza e Merito è stata accolta come parte civile al processo a rappresentare i docenti e i cittadini onesti di questo Paese.


Leggi l'articolo integrale su "L'Espresso" del 26 gennaio 2021



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