L'articolo di Giambattista Scirè per la rubrica/blog di "Trasparenza e Merito" su MicroMega.
"Uno dei tanti falsi miti messi in giro ad arte dall’Accademia italiana sull’Università – in questa rubrica ne abbiamo già sfatati diversi – è quello della crescente “internazionalizzazione” degli atenei. D’altronde i ranking sull’argomento e le statistiche sui dati della partecipazione di studenti dall’estero e di accesso/reclutamento di studiosi stranieri nelle università italiane parla chiaro: il nostro posizionamento nelle classifiche e le nostre percentuali rispetto agli altri paesi sono impietose.
Piuttosto che parlare di brain drain cioè “cervelli in fuga”, il cosiddetto esodo dei ricercatori italiani all’estero perché in Italia non trovano spazio – in parte per la carenza di fondi, ma soprattutto perché l’accesso e l’avanzamento di carriera sono contraddistinti da criteri di favoritismo o clientele – bisognerebbe puntare l’attenzione e aprire il dibattito sul fatto che pochissimi studenti e ricercatori stranieri vogliono venire da noi a studiare e a fare ricerca o a insegnare nei nostri atenei.
Solo il 4% degli studenti universitari è straniero (meno che in Spagna), contro una media europea negli altri paesi del 12%. Se ci spostiamo sul fronte del dottorato di ricerca la differenza con gli altri paesi è ancora maggiore: solo il 3% appena di studenti stranieri in Italia, contro il 40% dell’Inghilterra. Per non parlare poi della percentuale dei ricercatori e dei docenti stranieri che fanno ricerca o che insegnano nei dipartimenti italiani: in pratica sono così invisibili quasi da non esistere. Per fare un esempio ancora più chiaro in modo che si capisca bene, basti dire che in materie apparentemente più internazionalizzate, come Economia o come Medicina o come Ingegneria, in cui le relazioni con università straniere per ovvie ragioni, dovrebbe essere maggiori e incentivate per motivi di ricerca accademica e di progetti scientifici internazionali, le università italiane sono numerosissime in termini di docenti locali (perfino troppi) ma invece carentissime di docenti stranieri.
La ragione? È molto semplice.
L’università italiana non è attrattiva né per gli studenti stranieri perché non garantisce programmi e piani di studio, corsi di laurea spendibili in termini di competitività internazionale, né per gli studiosi stranieri perché è gerarchica e anti-meritocratica, cioè fondata su criteri di ingresso e di avanzamento di carriera che tengono in considerazione solo l’anzianità e non la produttività e la qualità della ricerca scientifica, e perché essa manda avanti solo gli “interni” dei dipartimenti. Questo vale per i concorsi a cui partecipano ricercatori e studiosi italiani che non hanno santi in paradiso, per cui il concorso apparentemente pubblico in realtà è (quasi) sempre predeterminato prima dell’esito, ma vale quando alle competizioni universitarie si presentano come candidati persone di nazionalità straniera.
La ragione non è dovuta solamente al sistema di reclutamento e al servizio offerto agli studenti, quindi ad una motivazione strutturale, ma è dovuta anche ad un fattore psicologico, altrettanto significativo: se lo stipendio e la carriera dei docenti non dipendono dalla loro bravura, dalla loro produttività e qualità scientifica, ma solamente dall’anzianità e dalla raccomandazione, si capisce benissimo come qualsiasi docente – iper garantito nel momento stesso in cui entra di ruolo all’università – non avrà alcun interesse a perdere tempo, a prepararsi, a studiare, a migliorarsi per attrarre con i propri corsi gli studiosi stranieri e non avrà altrettanta voglia di mettersi in collaborazione o in competizione con gli studiosi stranieri, attraendoli in Italia. Per non parlare poi della distanza siderale con cui sono fatti i bandi di accesso alle posizioni di dottorato di ricerca, di assegno di ricerca, di ricercatore e di docente: all’estero per applicare ad un concorso basta una email di qualche riga con allegato il cv, i titoli, le pubblicazioni e (a volte) le referenze di alcuni docenti (pubbliche, nulla a che vedere con le raccomandazioni segrete fatte con le telefonate emerse nelle intercettazioni delle Procure sui concorsi universitari italiani), mentre qui da noi i bandi sono composti da decine di pagine (spesso nemmeno tradotte in lingua inglese) in cui si citano decreti, leggi, articoli, commi, etc. Nulla di peggiore e di più burocratico per disincentivare la partecipazione di “esterni” stranieri.
Fatta questa importante premessa, giungo rapidamente al motivo di questo articolo, cioè passo da una analisi puramente teorica, seppure suffragata da dati e statistiche, a riportare invece vicende concrete, specifiche, fatte di carne e ossa, cioè di persone vere e proprie, di esperienze, di segnalazioni, come siamo abituati a fare noi di “Trasparenza e Merito”.
Qualche giorno fa – tenete presente che di segnalazioni e lettere di questo tipo ce ne sono arrivate tante già in passato, ma finora avevamo preferito non pubblicarle e renderle note per una questione di privacy – ci è giunta l’ennesima lettera di lamentela e incredulità, inviataci da una persona straniera che ha imparato sulla propria pelle a conoscere le modalità e i meccanismi di funzionamento dei concorsi nelle università italiane. In passato ci avevano già scritto svariate volte studenti stranieri lamentando situazioni di mancanza di “integrità accademica” da parte di docenti e direttori di dipartimenti. Si passava da segnalazioni di mobbing, a ritorsioni fatte agli esami, ad umiliazioni durante le lezioni (a questo proposito invito a leggere questo articolo recentissimo e molto istruttivo in proposito, pubblicato su Repubblica - ed. Torino - dal titolo emblematico Sei mai stata molestata? E da Politecnico e Università piovono denunce di studentesse, nel quale la giornalista chiude con queste parole: “Nemmeno gli amministratori si aspettavano di scoperchiare un tale vaso di Pandora di storie che riguardano l’ateneo. Cercheremo di contattare le istituzioni dell’università perché questo è un tema che non può passare sotto silenzi”).
Adesso a scriverci è stata una ricercatrice straniera, la quale ci mette a conoscenza della sua esperienza di concorsi in Italia, ponendo alcune domande molto significative, che la dicono lunga purtroppo sulla perversione e sulla inadeguatezza del nostro sistema universitario. Lei ci ha dato l’autorizzazione a pubblicare il testo, eliminando però tutti i dati sensibili che potessero far risalire al suo nome (è ormai notorio anche agli stranieri che l’ambiente accademico italiano è molto vendicativo, non solo nei confronti degli indigeni). Nella mail originaria la persona in questione (che ha firmato la lettera con nome e cognome, ci tengo a precisarlo) ha anche allegato un recente bando di concorso al quale ha partecipato, trovando gli ennesimi ostacoli e difficoltà che leggerete nella seguente trascrizione (e traduzione) del testo:
Dear Trasparenza e Merito, I have obtained my PhD in * from Italian University in *. And since that date I have been continuously applying for all possible vacant positions matching my profile. During all this period, I have noticed that in most cases the professor already knew a successful candidate in advance and in some cases he/she worked with that student. In that case the competition itself becomes useless, as external applicants apply for the post, with the hope that their applications will be considered. But the professor or the board of professors already know who they will choose. I am sharing with you the results of the last competition, University of *, where my scientific achievements are scored very low, and in addition the winner is from the same university. In most cases, as I mentioned, I was not allowed to participate in the colloquio, as my academic scores were very low. I have one BA degree in *, two MA degrees, and a PhD in * from Italian University. I have also asked a few friends and academics in Italy, they confirmed that in order to be chosen for a particular “ricercatore”/”assegni di ricerca” position, one needs to know that professor in advance. In this case there is no need to make efforts to apply for any academic post in Italy? And if the selection board already has an internal candidate, why are they creating a vacancy post and taking the time of all external applicants? What is your opinion in this issue and how can you help me and other students? Thanks in advance”.
In poche parole: “Ho notato che nella maggior parte dei casi il professore conosceva già in anticipo il candidato vincitore e in alcuni casi lavorava con quello studente. Nella maggior parte dei casi non mi è stato permesso di partecipare neppure al colloquio. Il professore o il collegio dei professori sanno già chi sceglieranno. In tal caso il concorso stesso diventa inutile. Ho anche chiesto ad alcuni amici e accademici in Italia, che hanno confermato che per essere scelti per un particolare posto di “ricercatore” / “assegno di ricerca” bisogna conoscere in anticipo il professore. Che senso ha sforzarsi per fare domanda per un posto accademico in Italia se è già tutto deciso? E se la commissione giudicatrice ha già un candidato interno, perché mette a bando un posto aperto anche a candidati esterni?”.
Parole che a noi di “Trasparenza e Merito” suonano davvero molto, troppo familiari. Che siano addirittura gli stranieri a mettere alla berlina e sotto accusa in questo modo, senza mezzi termini o mezze misure, il sistema dei concorsi universitari italiani, amareggia e spiace più di qualsiasi altra cosa e dovrebbe far interrogare seriamente il ministro dell’Università e i rettori degli atenei, che farebbero meglio a prendere precauzioni e a riformare immediatamente questo sistema che all’estero ormai bistrattano e ridicolizzano, piuttosto che riempirsi la bocca con la parola “internazionalizzazione”, l’ennesimo falso mito dell’Università italiana."
Giambattista Scirè*
*Storico, Amministratore e responsabile scientifico di “Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo”
(2 dicembre 2020)
Leggi l'articolo su "MicroMega" del 2 dicembre 2020
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