In un editoriale del 19 marzo 2019 dal titolo "College admissions are corrupt because universities are. Here’s how to fix them" (il sottotitolo recita: "come la ricerca del denaro e dello status ha superato la missione della conoscenza e della verità) il quotidiano statunitense "Washington Post" pone con coraggio all'opinione pubblica americana la questione della corruzione nelle università.
Facciamo un semplice e immediato ragionamento: secondo gli indicatori di "Transparency International" del 2018, in termini generali, gli Stati Uniti si trovano al 22° posto a livello di trasparenza e lotta alla corruzione, mentre l'Italia si trova ben sotto in 53° posizione. Questo vuol dire che, anche a livello di pubblica amministrazione, e dunque di università, potrebbe valere la stessa proporzione.
E' davvero sconcertante notare, dunque, come in Italia, nonostante i tanti concorsi pilotati e truccati balzati all'onore delle cronache, i casi di abilitazione scientifica nazionale tempestata di ricorsi e sentenze che hanno accolto le ragioni dei candidati penalizzati, e le vicende di programmazione artefatta e predeterminata a monte, gli atenei ed il ministero dell'istruzione, università e ricerca non intendano affrontare il problema in termini sistemici, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, dove quanto meno la stampa ha posto la questione ad altissimo livello. Come è facile intuire, queste manipolazioni dei concorsi comportano un enorme danno economico per il paese, danno erariale pagato dalla cittadinanza, danno d'immagine, danno alla qualità scientifica della ricerca, danno agli studenti per i servizi e alle famiglie che pagano le tasse. Si tratta di cifre da capogiro, in particolare in settori scientifico disciplinari come medicina, economia, urbanistica, giurisprudenza e altri.
Qui da noi, anche la stampa nazionale ha avuto il solo merito di mettere in evidenza e in risalto i singoli, e più o meno clamorosi, casi segnalati da "Trasparenza e merito", ma quasi si trattasse di poche mele marce e nulla più. Non è affatto così. Come insegna l'esperienza americana si tratta, semplicemente, per aggredire il problema alla radice, di prendere realmente coscienza della grave questione della corruzione diffusa, senza timori reverenziali nei confronti del cosiddetto sapere infuso. Ne aveva già parlato un servizio tedesco, che apertamente elogiava la nostra associazione per l'attività di contrasto alla corruzione accademica, ora tornano sull'argomento corruzione e università anche gli statunitensi.
Si legge nell'articolo di WP:
"University of Southern California is described as the "epicenter" of a crisis involving bribes in the hundreds of thousands of dollars. While it is tempting to say that the scandal involves only nefarious individuals, and that we can address the problem with a fine tuning of the bureaucracy, the problem is much deeper. There is an illness in higher education, and its name is corruption."
L'Università della California è descritta come "l'epicentro" di una crisi che comporta tangenti di centinaia di migliaia di dollari. Mentre si è tentati di dire che lo scandalo coinvolge solo alcuni delinquenti, e che possiamo affrontare il problema con una messa a punto della burocrazia, il problema è molto più profondo. C'è una malattia nell'università e il suo nome è corruzione.
E ancora:
"Corruption, in its most effective version, is an open secret — the “old boys’ club,” the “smoke-filled room” or the “network.” We accept that this is the way things are, until a brazenly illegal act of corruption exposes the status quo of legalized corruption. This is what has happened with the bribery scandal, which is only a symptom of an illness that has grown deeper and more pervasive over the past few decades in academia. Treating the symptom without understanding the illness will cure nothing."
La corruzione, nella sua versione più efficace, è un segreto aperto - il "club degli old boys", la "stanza piena di fumo" o la "rete". Accettiamo che questo è il modo in cui stanno le cose, fino a quando un atto spudoratamente illegale mette in evidenza uno stato di corruzione legalizzata. Questo è ciò che è successo con il recente scandalo di corruzione, che è solo un sintomo di una malattia che è diventata molto più profonda e pervasiva negli ultimi decenni nel mondo accademico. Trattare il sintomo senza conoscere la malattia non curerà nulla.
"Universities are noble enterprises built on the basis of the pursuit of truth and knowledge. But like all of our most noble enterprises, universities can be undermined by our own weaknesses, our susceptibility to temptation."
Le università sono imprese nobili costruite sulla base della ricerca della verità e della conoscenza. Ma come tutte le nostre più nobili imprese, le università possono essere indebolite dalle nostre stesse debolezze, dalla nostra suscettibilità alla tentazione.
"Acknowledge that the problem of corruption even exists. Adding more layers of bureaucracy with ethics and compliance officers is merely playing whack-a-mole. The patient will not be cured until the patient admits to the illness that can be treated. This extends from university presidents to boards of trustees to each and every one of us who benefits in some way from the corruption, including administrators, full-time faculty, alumni and students."
Riconoscere che il problema della corruzione esiste. Aggiungere più strati di burocrazia attraverso gli uffici di controllo e della trasparenza non è altro che giocare al videogioco "colpisci la talpa". Il paziente non sarà curato fino a quando il paziente non ammetterà che la malattia può essere trattata. Questo vale per i rettori delle università, per i consigli di amministrazione, per ognuno dei docenti che beneficia in qualche modo della corruzione, compresi appunto gli amministratori, i docenti a tempo pieno, i ricercatori e gli studenti.
E così chiude il pezzo l'editorialista:
"Finally, after admitting to corruption, university leadership should take the lead and do what the faculty have demanded for years: Commit universities, first and foremost, above money, reputation or ranking, to their noble mission, the light of which still remains, the pursuit of truth and knowledge. We cannot be resigned to less."
Infine, dopo aver ammesso la corruzione, la dirigenza universitaria dovrebbe prendere l'iniziativa e fare ciò che la facoltà ha richiesto per anni: impegnare le università, prima di tutto, al di sopra del denaro, della reputazione o delle classifiche ("ranking"), alla loro nobile missione, la cui luce rimane ancora la ricerca della verità e della conoscenza. Non possiamo rassegnarci.
Gli americani hanno il pregio di dire le cose senza mezzi termini e di affrontare (e spesso risolvere) i problemi in modo concreto. Touché.
Leggi l'articolo integrale su Washington Post del 19 marzo 2019
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