top of page

Osservatorio indipendente: Lettera sull'Università bandita ed i concorsi ad personam

Pubblichiamo la lettera dei colleghi di "Osservatorio indipendente sui concorsi universitari" dal titolo: Di quando a Catania si gridò allo scandalo per i concorsi truccati, ma i concorsi ad personam rimanevano la prassi non dichiarata.


"Quando, quasi due anni fa, è stato creato l’Osservatorio indipendente dei concorsi universitari, l’obiettivo era cominciare a denunciare una prassi che vedevamo ogni giorno sotto i nostri occhi, e cioè come fosse difficile partecipare ad un concorso senza che se ne sapesse già il vincitore.

Un vincitore che spesso non si stagliava sugli altri per titoli, didattica e qualità delle pubblicazioni, ma che diventava facile identificare dalla presenza di una specifica profilatura all’interno del bando o appena resa pubblica la ommissione del Concorso. Naturalmente (lo abbiamo ripetuto più volte) non sempre è così, ci sono i casi eccezionali: ma appunto, di eccezioni si tratta.

I fatti di Catania, dopo quelli sull’ASN di Firenze del 2017 e molti altri casi segnalati dal nostro Osservatorio, portano nuovamente a galla il sommerso che abbiamo sempre tentato di far emergere insieme ad altre associazioni, quali «Trasparenza e merito» e l’ANDU («Associazione nazionale docenti universitari»), pertanto qualsiasi commento sarebbe superfluo, anzi ridondante. Tuttavia, può forse valere la pena fare il punto della situazione.

Quel che è avvenuto a Catania è la modalità di cooptazione più praticata in tutti gli Atenei d’Italia, e basti leggere quel che scriveva Michele Anis 6 anni fa su «L’Espresso» (24/10/2013): «Confesso, ho peccato. E prima di me ha peccato il suo maestro, e il suo maestro, e di maestro in maestro per generazioni. Tutti colpevoli d’aver raccomandato i propri allievi, d’aver brigato per appoggiarli nei

concorsi».

La questione è delicata: se ho un bravo allievo, che faccio? Non lo raccomando, col rischio che un allievo più raccomandato e magari meno bravo passi al posto suo? Messa così, la scelta sembra obbligata, anzi giusta. Ma proviamo a ragionare sulla stessa linea di pensiero, ribaltando le possibilità: se io, invece di essere un ordinario con una buona capacità di chiedere e trovare posti e finanziamenti,

fossi stato un associato a cui poco interessano promozioni e avanzamenti, il mio allievo, che reputo bravissimo e geniale, che fine avrebbe fatto? E che fine avrebbe fatto il figlio di nessuno, ugualmente bravo, che magari continua a pubblicare da anni e anni, senza aver usufruito di anni e anni di assegni di

ricerca, che è docente a contratto per 30, 60, 90 ore a 1000 euro lordi l’anno, solo per avere in curriculum attività didattica, e che nel frattempo svolge altri lavori (durante l’attività dell’OICU, ne abbiamo visti di tutti i tipi: oltre la più comune docenza nella scuola inferiore/superiore, conducente di

autobus, bagnino, guida turistica, ingegnere comunale...).

La questione è delicata, perché per entrare nell’Università ci sono dei concorsi pubblici, non è ammessa la cooptazione personale. Insomma, il figlio di nessuno, se merita, dovrebbe avere le stesse possibilità del ricercatore a tempo determinato (di tipo A e B) e indeterminato, dell’Associato. Se non merita, o anche se merita ex-equo, o persino un poco meno (dato che ogni giudizio non è divino, e non esiste un parametro assolutamente oggettivo), l’autonomia universitaria dà la possibilità all’Ateneo (cioè al Dipartimento, anzi al professore) di scegliere. Insomma, se le cose funzionassero come la legge prescrive, il prof. Anis non avrebbe avuto alcun motivo di peccare. Ma le cose non funzionano così, e spesso i concorsi sono una farsa, grazie anche alla cosiddetta legge Gelmini (240/2010) che ha introdotto commissioni locali, con piena libertà decisionale dei punteggi su cui sarà basata la valutazione. Così, se il presunto allievo geniale ha molta didattica, e il suo competitor ha vinto un prestigioso ERC (progetto di ricerca finanziato dallo European Research Council), la Commissione (al cui interno c’è spesso il maestro del papabile vincitore e/o un commissario amico), può decidere che la didattica vale 50/100 punti; i titoli (tra cui ricade avere vinto un ERC) 14/100 punti, e le pubblicazioni 36/100 punti; e può anche decidere che un articolo in una rivista senza peer review vale 3 punti,

esattamente quanto una monografia (sempre se il mio candidato ha meno monografie del suo antagonista, altrimenti posso optare per un punteggio più equanime: monografia 6 punti, articolo su rivista di fascia A - le più prestigiose - 4 punti, altre tipologie 3 punti). Si noti che, durante questo ‘balletto’, il candidato outsider, si presenta senza sapere alcunché del metro di giudizio, e deve presentare le pubblicazioni a scatola chiusa: è capitato, così, che un candidato abbia scelto (giustamente!) di presentare la monografia, di cui tre capitoli erano usciti in fascia A, per poi trovarsi con dei criteri che attribuivano più punti alla fascia A che alle monografie.

E lo stesso accade per i concorsi presso gli enti pubblici di ricerca.

Questa è la ragione per cui affermiamo che, allo stato attuale, i concorsi sono una farsa, almeno nella maggior parte dei casi. Quindi, a nostro modo di vedere, le strade sono due: o si elimina la farsa, e si prevede la cooptazione diretta; o si ritorna a Commissioni nazionali che operino secondo criteri rigorosi.

Nel primo caso, si eviterebbe la frustrazione agli altri candidati di sentirsi parte di una pantomima di cui già si conosce il finale; si eviterebbe loro di perdere ore per riempire format diversi da Università a Università; di prendere voli, pagarsi notti in albergo, chiedere giorni di permesso al lavoro, e magari vedersi umiliati all’orale semplicemente nella speranza di trovare «una maglia rotta nella rete». Insomma, non avrebbero alcuna possibilità di entrare nel sistema-Università (come di fatto già è, basti ricordare le parole del rettore di Catania: «Vediamo gli stronzi che dobbiamo schiacciare»), ma gli si garantirebbe il dovuto rispetto. Si risparmierebbero, inoltre, tutti i costi di migliaia e migliaia di concorsi, e quelli dei pagamenti dei ricorsi al TAR, per cui le Università sono chiamate in giudizio.

Se si prevede una cooptazione diretta, però, che almeno venga previsto un sistema di controllo, con penalità di Fondo di Finanziamento Ordinario e di fondi straordinari per i Dipartimenti che non abbiano raggiunto, a tre anni dalle assunzioni, degli standard minimamente elevati.

La seconda possibilità è l’unica in grado di garantire ‘pari opportunità’ e un sistema realmente meritocratico. Ma, per attuarla realmente, il MIUR dovrebbe prevedere step precisi, lasciando poca o nessuna autonomia alle Università: Commissioni nazionali di almeno 5 membri, sorteggiate dal MIUR con un sorteggio che valga per tutti i settori scientifico disciplinari (altrimenti si rischia che anche i sorteggi siano pilotati) e che coinvolga tutti gli ordinari e associati dello stesso settore; punteggi per titoli, pubblicazioni e didattica stabiliti a livello centrale e uguali per tutte le classi di concorso (dal dottorato ai concorsi per ordinario); obbligo della Commissione di motivare i punteggi; un sistema di

punti organico che equipari esterni ed interni. Per altro, una soluzione del genere favorirebbe la mobilità di dottorandi, post-doc e ricercatori, che significa veicolazione di idee e metodi; e scardinerebbe l’assetto baronale insito in qualsivoglia rapporto clientelare.

È una strada percorribile, ed è una possibilità dovuta a una Nazione e a un’Università che avrebbero tutte le potenzialità per valorizzare appieno le proprie energie (oggi fatalmente sommerse).


11 luglio 2019."


Leggi la lettera originale pubblicata da "Osservatorio indipendente sui concorsi universitari"




bottom of page