L'articolo di Giambattista Scirè sulla rubrica di "Micromega", dal titolo "Università / Oltre il caso Suarez: togliere l'autonomia agli atenei per mancanza di credibilità e moralità". Buona lettura.
"Mi chiedo come possano le istituzioni dello Stato continuare a minimizzare permettendo che il comportamento illegale e immorale, più volte reiterato, di certi atenei (diffuso e reso noto, un giorno sì e l'altro pure, dalle intercettazioni pubblicate sui giornali) consolidi nell'opinione pubblica internazionale e nei cittadini italiani la convinzione che l'Università sia una istituzione malata, in costante declino per valore scientifico e moralità, in cui un gruppo di privilegiati professori continua a usare impunemente le risorse pubbliche, manipolando e pilotando concorsi e appalti, per fare interessi personali o di lobby alle spalle della cittadinanza.
Ecco, appunto, la parolina magica di questo nuovo clamoroso caso che sta occupando le prime pagine dei giornali. Dalle indagini della Guardia di Finanza emergerebbe che la prova dell'esame di italiano del calciatore Suarez sia stata preventivamente concordata con alcuni docenti dell'Università per Stranieri di Perugia e i punteggi assegnati prima ancora dello svolgimento dell'esame, con la rettrice che ne sarebbe stata informata, tanto è vero che risulta indagata dagli inquirenti, insieme alla commissione dell'esame. Come è possibile, vi chiederete anche voi, che una istituzione universitaria alla quale la legge italiana demanda il compito di accertare la conoscenza della lingua italiana di uno straniero possa regalare in questo modo l'accesso alla cittadinanza, barattando la dignità del nostro Paese, forse semplicemente per soldi? Come si può abdicare così al proprio ruolo di educatori e trasmettitori di conoscenza del sapere al grado più alto? Come può essere che il livello di accertamento delle competenze linguistiche di un cittadino straniero da parte di una pubblica istituzione di alta istruzione in Italia sia così basso da arrivare al punto di promuovere in un esame durato appena 20 minuti (quando abitualmente gli altri studenti stranieri vengono esaminati in almeno 2 ore) e concordato precedentemente, un famoso calciatore che parla l'italiano con i verbi coniugati all'infinito e che è stato portato in ateneo in taxi (come hanno documentato le tv) quando invece molti “stranieri italiani” che sono nati, vivono e risiedono in Italia da decenni, che parlano un italiano più corretto di quello di tanti docenti universitari stessi, non riescono ad ottenere la cittadinanza nemmeno con le cannonate?
L'accusa per i docenti sarebbe di falso ideologico. Urca, che notizia! Un esame o concorso predeterminato nell'Università italiana: ma veramente? Ed io che pensavo che i concorsi universitari italiani fossero tutti trasparenti e regolari.
Ma proviamo, per un attimo, ad allargare il nostro discorso e chiediamoci: cosa ha questa notizia di più sdegnosamente eclatante rispetto, ad esempio, ad un rettore che minaccia un candidato di ritirare il ricorso; o rispetto ad una commissione che dichiara vincitore di un concorso da ricercatore in storia un candidato di architettura; o rispetto al fatto che in tutti i concorsi per l'avanzamento di carriera (da professore associato e ordinario) si presenta un solo candidato, quello che deve vincere; oppure rispetto alle vergognose parole ascoltate nelle intercettazioni della procura di Catania e pronunciate da alcuni docenti che dicevano, riferendosi ai candidati che osavano presentarsi alla selezione del pubblico concorso “questi sono degli stronzi che dobbiamo schiacciare...”; o ancora rispetto alle esilaranti ma amarissime parole delle registrazioni della procura di Firenze, dette da un docente a un candidato forte che dava fastidio ai manovratori: “Mettiti l'animo in pace, non verrai mai chiamato, neanche se tu vincessi!". O rispetto a commissari che si dimettono in massa pur di non far vincere il candidato più titolato. O ancora rispetto al fatto che gli atenei italiani si considerano al di fuori delle regole e delle leggi dello Stato fino al punto da usare le sentenze dei tribunali, amministrativi e penali, come carta straccia (per non dire altro), o fino al punto di annullare concorsi già banditi da tempo solamente se il candidato vincitore non è quello predestinato?
Sto esagerando? Assolutamente no. E posso dimostrarvelo con esempi concreti: le sentenze dei tribunali. Per i più curiosi il consiglio è di inserire questi numerini sul sito della Giustizia amministrativa, rimarrete sbalorditi. Facciamo, dunque, un po' di chiarezza.
Se ci limitiamo a focalizzare l'attenzione sulla fase propedeutica del concorso universitario, ovvero la definizione e la pubblicazione del bando di partecipazione, esistono almeno 4 sentenze dei tribunali amministrativi, una del TAR Piemonte (n. 473/2017), due del TAR Lombardia (n. 830/ 2016 e n. 768/2016) e una del Consiglio di Stato (n. 5050/2018), che vietano tassativamente i cosiddetti “bandi sartoriali”, ovvero ritagliare il profilo curriculare del bando con le caratteristiche di un candidato prescelto prima dell'esito, dissuadendo così gli altri dal concorrere. Ebbene, la quasi totalità dei bandi universitari italiani sono, per l'appunto, sartoriali.
Un secondo aspetto sul quale vorrei spendere qualche parola è la questione dell’accesso libero di tutti i candidati che abbiano acquisito, nel corso della loro carriera accademica e professionale, titoli e pubblicazioni tali da poter partecipare al bando pubblico. Ci sono ben 3 sentenze del Consiglio di Stato, in particolare due pronunciamenti (n. 2500/2018 e n. 7155/2018) che stabiliscono che non possano essere alterate le condizioni di parità di trattamento degli aspiranti candidati ad un concorso e che, nella fattispecie, tutti i candidati “interni”, in possesso dei medesimi requisiti, debbano essere posti in grado di partecipare alla procedura di reclutamento in condizioni di pari opportunità. Inoltre il tribunale ha espressamente chiarito che alla “procedura di chiamata” debba essere data preventiva e adeguata pubblicità. Non accade quasi mai. C’è una ulteriore sentenza del Consiglio di Stato (n. 4519/2019) che stabilisce che la commissione giudicatrice non può in alcun modo escludere dalla partecipazione al concorso un candidato senza una adeguata motivazione sulla base del regolamento dell’Università e nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei diritti del ricercatore. Non la rispetta nessuno.
Entrando invece più nel merito delle fasi calde della procedura di valutazione universitaria, esistono ben 10 sentenze della Giustizia amministrativa - per citare e menzionare solo le più clamorose - che limitano fortemente la discrezionalità tecnica della commissione di concorso. Questa discrezionalità tecnica, a differenza di quanto viene affermato dal pulpito dei docenti universitari, non è affatto assoluta né insindacabile, ma deve attenersi esattamente alle regole del bando e ai decreti ministeriali. Una sentenza del TAR Calabria (n. 07/ 2011) sanziona in modo inequivocabile la disparità di trattamento tra i candidati, sulla base di giudizi omissivi e lacunosi della commissione. Due sentenze del TAR Veneto (n. 674/2018 e n. 181/2019), una del TAR Pescara (n. 140/2018), una sentenza del TAR Palermo (n. 2401/ 2012), una del TAR Ancona (n. 766/2015), una del Consiglio di Stato (n. 3121/2019) limitano la discrezionalità della commissione per “eccesso di potere e travisamento dei parametri di valutazione” ed annullano la procedura concorsuale perché le valutazioni delle rispettive commissioni e l’attribuzione dei punteggi non è stata eseguita in modo analitico e non è stata svolta una corretta comparazione tra i candidati. Due sentenze del TAR Lazio (n. 9921/2018 e n. 3157/2019) sanzionano invece il carattere ripetitivo e superficiale dei giudizi individuali della commissione ed annullano la procedura.
Vi sono poi 4 sentenze che stabiliscono alcuni obblighi improrogabili da parte degli atenei. Una del TAR Calabria (n. 215/2015) sancisce l’obbligo per l’ateneo di svolgere regolarmente il concorso entro i tempi previsti per legge e dispone che una procedura di concorso debba essere portata a compimento obbligatoriamente dalla commissione in quanto i commissari sono pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni (le loro eventuali dimissioni devono essere precisamente motivate e possono essere accolte ma una procedura non può essere tenuta in sospeso e congelata). Una sentenza del TAR Veneto (n. 364/2019) stabilisce che il dipartimento non può non effettuare la chiamata di un vincitore di concorso individuato come primo in graduatoria da una commissione, né tanto meno può annullarlo senza una motivazione chiara, plausibile, argomentata e messa agli atti in consiglio di dipartimento. Anche una sentenza del Consiglio di Stato (n. 2482/ 2017) sancisce che se un candidato è posto primo in graduatoria da una commissione di concorso esso deve essere chiamato dal dipartimento che ha bandito il posto.
Un'altra questione dirimente è l'attinenza e la congruità (o meno) dei titoli e delle pubblicazioni con il settore scientifico disciplinare messo a bando. Vi sono almeno 2 pronunciamenti dei tribunali che appaiono davvero significativi a questo proposito. Una sentenza del TAR Catania (n. 1562/2014) dispone, di pugno dei giudici, l’annullamento di titoli e pubblicazioni non congrui al settore messo a bando per palese “macroscopicità”. Anche una sentenza del TAR Toscana (n. 1284/2017) sancisce come elemento preponderante nella valutazione della commissione la coerenza di titoli e pubblicazioni con la declaratoria del settore scientifico disciplinare.
Poi, proprio come il traffico dello zio di Johnny Stecchino nelle strade di Palermo, c’è l'altra “terribile piaga” che affligge moltissimi concorsi degli atenei italiani: il conflitto di interessi. Ci sono, a questo proposito, almeno 4 sentenze fondamentali. Una del TAR Lazio (n. 4151/2019) sanziona in modo netto e inequivocabile un conflitto di interessi tra valutatore (commissario) e valutato (candidato), annullando l’intera procedura. Una del TAR Piemonte (n. 601/2019) stabilisce che il commissario che ha troppe pubblicazioni in comune con il candidato, cioè a dire un numero preponderante (ovvero più della metà) è da considerarsi in conflitto di interessi e deve obbligatoriamente dimettersi e astenersi dal valutare. Inoltre una sentenza del Consiglio di Stato (n. 3206/2017) stabilisce che c'è violazione del principio di imparzialità nella composizione della commissione quando è incompatibile alla valutazione del candidato quel commissario che sia “stabile e assiduo collaboratore” dello stesso, anche soltanto nell’attività accademica e/o pubblicistica. Infine una sentenza del TAR Pescara (n. 87/2019) sancisce l’obbligo di dar corso alle disposizioni del Piano dell'Autorità Anti Corruzione a proposito del conflitto di interessi e delle limitazioni imposte ai commissari su una procedura di valutazione nazionale.
Queste sentenze sono scaturite, in gran parte, da ricorsi messi in atto da “Trasparenza e Merito. L'Università che vogliamo”. Non ci crederete, eppure questi provvidenziali e imprescindibili pronunciamenti dei tribunali italiani vengono oggi, anno dominus 2020, puntualmente irrisi, disattesi ed elusi dagli atenei italiani in materia di reclutamento. Ora, alla luce del modo in cui, come emerge dalle sentenze sopra citate oltre che da questo nuovo ennesimo scandalo, tanti, troppi docenti universitari hanno svenduto la serietà e il prestigio sociale che il loro ruolo ha avuto nei secoli passati con comportamenti illegali e immorali, non rimane che levare alto da queste pagine il nostro grido e chiedere, ancora una volta, per l'ennesima volta, alle istituzioni di questo Paese, di togliere l'autonomia agli atenei (l'ultimo atto di questo scellerato percorso è stato sancito dalla Legge 240/2010, la cosiddetta “Legge Gelmini”, che si è rivelata un fallimento sotto più aspetti) che hanno dimostrato ampiamente, in questi anni, di non meritarla per assoluta mancanza di credibilità e di moralità, per una sorta di infermità mentale sulla cultura della legalità e della trasparenza. E di farlo presto, prima che sia troppo tardi."
Giambattista Scirè
Storico, amministratore e responsabile scientifico di “Trasparenza e Merito”
(24 settembre 2020)
Leggi l'articolo integrale su "Micromega" del 24 settembre 2020
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