L'articolo di Gian Antonio Stella sul "Corriere della Sera" del 14 ottobre 2020
C’era in ballo l’assunzione di un ricercatore di storia contemporanea, posto finito a una laureata in architettura. Dopo nove anni, con il concorso mai annullato dall’Ateneo di Ragusa, i giudici hanno imposto ai tre commissari il pagamento dei danni all’escluso
Fine. Dopo nove anni e mezzo di accanita resistenza alle sentenze giudiziarie su un concorso pilotato alla facoltà di Lingue e letterature straniere di Ragusa, sede distaccata di Catania, i commissari responsabili della faccenda sono stati condannati a risarcire personalmente l’università a suo tempo costretta a pagare i danni al ricercatore vittima del bidone concorsuale e mai assunto. Totale: 50.130,135 euro. «Danno che, trattandosi di responsabilità per colpa grave, andrà diviso, in egual misura, tra i tre membri». I quali, manco si fossero battuti per difendere le mura di Famagosta assediata dai turchi e non un pasticcio baronale, avevano chiesto uno sconto. La Sezione Giurisdizionale Siciliana della magistratura contabile, venerdì, è stata però irremovibile: «Non si ritiene sussistano motivi per accordare la richiesta riduzione».
Ricordate? Era il luglio 2011. C’era in ballo l’assunzione (contratto di tre anni più due) di un ricercatore di storia contemporanea, posto finito a una laureata in architettura. Una scelta sballata, denunciò lo sconfitto Giambattista Scirè. E così sarebbe stato via via ribadito da vari verdetti dei quali citiamo ad esempio quello del Consiglio di Stato isolano: «gran parte dei titoli presentati dalla vincitrice erano in realtà incongruenti col settore concorsuale storia contemporanea...».
Eppure, per quanto fosse stato ordinato all’ateneo di rivedere la graduatoria taroccata, non c’è mai stato verso di annullare il concorso. Un arroccamento tenace, calloso, così cocciuto da risultare strafottente. Tanto più in un contesto in cui perfino dei docenti interni erano arrivati a riconoscere che si era trattato, e fu messo a verbale, di «una gran porcheria». L’ultima sentenza contabile, del resto, è nettissima: i commissari, scrivono i giudici, «hanno perseverato in una interpretazione della normativa di settore e del bando di concorso assolutamente priva di qualsivoglia fondamento giuridico» che «va ritenuta antigiuridica e, almeno, gravemente colposa». Eppure, udite udite, i vertici dell’università etnea non si sono neppure costituiti parte civile. Sarebbe stato, del resto, imbarazzante: l’inchiesta battezzata «Università bandita» è appena sfociata nel rinvio a giudizio di dieci docenti coinvolti in una ventina di concorsi dubbi...
13 ottobre 2020 (modifica il 13 ottobre 2020 | 22:34) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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