Dopo la nota con le false precisazioni dell'ateneo di Catania, a seguito della lettera del viceministro del Miur Fioramonti che aveva chiesto chiarimenti sul caso Scirè, risponde Gian Antonio Stella nella sua rubrica del "Corriere della Sera" (Sette), con un editoriale pubblicato oggi, 25 aprile 2019, dal titolo che parla da solo:
"A Catania l’università ha perso otto anni e il senso della giustizia".
Otto anni per ottenere giustizia fra ricorsi, processi e sentenze per tre commissari di un concorso universitario per un posto da ricercatore.
"Alleluia: la legge dello Stato vale anche a Ragusa. Ovvio, direte voi: mica è una repubblichina a parte. Tanto ovvio, in realtà, fino a giorni fa, non lo era per niente. Anzi. E ci sono voluti otto anni (otto anni!) di ricorsi, processi e sentenze, perché i commissari (Simone Neri Serneri, Luigi Masella e Alessandra Staderini) di un concorso universitario fossero infine condannati dal Tribunale Penale di Catania.
Breve riassunto. Era il lontano 2011, c’era in ballo un posto da ricercatore (tre anni più due) in Storia contemporanea bandito per la sede di Ragusa dall’Università di Catania e vinse una candidata, Melania Nucifora, che era laureata in architettura e all’epoca, come ha scritto il quotidiano "La Sicilia", «non era in possesso del titolo di dottore di ricerca e aveva un curriculum scientifico non congruo al settore messo a bando». Di più: «le indagini della Procura avevano messo in luce anche i rapporti in conflitto di interesse tra la candidata vincitrice e il presidente di commissione, in particolare la presenza di entrambi nel comitato scientifico dell’ Aisu, diversi saggi della candidata contenuti in volumi del presidente di commissione, il volume dello stesso inserito nel programma di esame per il corso da lei tenuto in Storia dell’ architettura». Tutto chiaro, sulla carta. Tanto che, come i lettori forse ricorderanno, il candidato bocciato, Giambattista Scirè, si vide riconoscere le buone ragioni dal Tar, il quale sentenziò che la procedura era stata «viziata da palesi illogicità, in primis in merito all’inclusività del settore scientifico disciplinare oggetto del concorso» e condannò l’amministrazione dell’ateneo alla «refusione delle spese processuali e alla liquidazione del danno patrimoniale subito dal dottor Scirè» e trasmise «tale decisione alla Procura regionale della Corte dei conti» perché potesse chiedere i danni erariali ai commissari. Non bastasse, il giudizio fu confermato mesi dopo dal Consiglio di Stato. Che rigettò il ricorso dell’università e confermò: la facoltà doveva restituire al docente bocciato quanto gli era stato ingiustamente tolto. Opinione confermata da un terzo verdetto, del Tar di Catania, nel 2017.
Macché. Cocciutissima nella sua scelta a dispetto delle interrogazioni parlamentari, delle denunce sui giornali, delle sentenze e dell’ordine dei giudici, e disposta al massimo a tentare accomodamenti con un contrattino temporaneo, l’Università ha resistito, resistito, resistito alla magistratura come se si trattasse di difendere l’ultimo isolotto asiatico ancora in mano all’ultimo giapponese. Fino a tirarsi addosso le rampogne dello stesso viceministro dell’università Lorenzo Fioramonti. Il quale qualche settimana fa aveva scritto al Rettore di Catania Francesco Basile chiedendo due cose. Primo: perché non avesse tenuto conto delle sentenze. Secondo: perché l’università non si fosse costituita «in giudizio come parte offesa al processo, nonostante l’ateneo fosse stato chiamato in causa dai giudici amministrativi come parte lesa per il danno erariale richiamato dal Tar in sentenza e riconosciuto dalla Corte dei conti regionale, arrecato dall’operato della commissione di concorso rinviata a giudizio». Non più solo chiamata a giudizio: condannata. Sinceramente: che senso c’era?"
Non è affatto la prima volta che l'opinionista del "Corriere", autore del bestseller "La casta" e di importanti inchieste sulla corruzione nella pubblica amministrazione, si occupa di questo caso e dell'ateneo catanese.
Nel 2015 aveva scritto un articolo dal titolo "La giurisdizione italiana s'è fermata a Ragusa?", poi nel 2018 un editoriale dal titolo "Il professore defraudato e le sentenze inutili", nel quale metteva sotto accusa un sistema di potere accademico che prima ignorava il merito e la correttezza della procedura al concorso e poi perfino l'applicazione corretta della legge: insomma il peggio del peggio, altro che specchiata commissione e blasonata istituzione culturale e universitaria.
Per quanto riguarda la nota-comunicato, con le false precisazioni dell'ateneo che intendevano smentire la lettera del Viceministro, l'associazione "Trasparenza e merito" aggiunge:
- i GIUDICI - non solo il Viceministro o tanto meno Scirè - hanno scritto che la sentenza del Tar non era stata eseguita correttamente, è stata elusa dall'ateneo, provocando lo "sfumare della proroga del contratto", accogliendo così il ricorso per l'OTTEMPERANZA del giudicato, tanto da costringere il rettore Basile, prima del commissariamento, ad emanare nel 2017 un decreto di nomina che doveva essere pubblicato dal suo predecessore Pignataro nel lontano 2014;
- è stato illegittimamente proposto a Scirè un CONTRATTO ANOMALO ("capestro") di 4 mesi - una tipologia contrattuale Rtd inesistente, inventata ex novo dall'ateneo catanese -, che lo stesso ha dovuto impugnare con l'aggiunta di una "clausola di salvaguardia";
- mettere ancora in dubbio, come fa l'ateneo nel comunicato, che vi sia stato un DANNO ERARIALE (già certificato dal Tar nella sentenza trasmessa nel lontano 2014 alla Corte dei conti) è come voler sostenere che gli asini volino. Ci vuole fegato. Non costituirsi parte civile ad un processo nel quale i giudici indicano l'ateneo come parte lesa per il danno ricevuto è a dir poco sconcertante. Per quale misteriosa ragione può mai accadere un simile scempio?
Ci chiediamo, con Stella e col "Corriere": come si può resistere per anni e anni alle sentenze della magistratura, perdendo il senso della giustizia, delle istituzioni, dello Stato, della moralità e perfino del buon senso? Come si possono prendere così in giro gli studenti, i cittadini e i contribuenti? Come può non esistere pudore né vergogna, né alcuna forma di coscienza civile?
Leggi l'articolo cartaceo sul Corriere (Sette) del 22 maggio 2015
Leggi la sentenza del Tar Catania del 2014
Leggi la sentenza del Consiglio di Giustizia amministrativa Regione siciliana del 2015
Leggi la sentenza del Tar Catania (2017) sull'ottemperanza del giudicato
Leggi il dispositivo di condanna penale per la commissione del Tribunale di Catania del 16 aprile 2019
Si può perché, se le sentenze della magistratura non si applicano, il sistema NON E' IN GRADO DI IMPORLE.