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La nuova rubrica/blog di Trasparenza e Merito su Micromega

Inizia oggi la collaborazione di "Trasparenza e Merito" con MicroMega, rivista di cultura, politica, scienza e filosofia, che voi tutti conoscerete, e che è da sempre una autorevole voce attenta in particolare a tematiche come la legalità, l'etica, la giustizia.

Nella rubrica/blog Giambattista Scirè parlerà di proposte per l'Università e dell'attività meritoria dell'associazione contro le "malpratiche" accademiche.

Questo è il primo articolo dal titolo: L'Università italiana e la carenza di integrità accademica: Trasparenza e Merito una diga contro gli abusi.

Lo sapete cosa è il network europeo sulla "academic integrity"? La mancanza di integrità accademica, combinata con pratiche scorrette e altre forme di comportamento non etico, inibisce l’accesso ai poveri, diminuisce equità e qualità dei servizi educativi, abbassa il livello scientifico della ricerca. Contro questi abusi si batte l’associazione.

Di questo e di tante altre cose parla il pezzo, denso di contenuti e spunti di riflessione. Buona lettura.


"Forse molti di voi non lo sanno ma negli Stati Uniti e in Europa esiste un network di istituzioni che si occupa della “Academic Integrity”. In pratica studiano il livello di integrità e legalità nella condotta dei docenti nella Higher Education, un po’ a tutti i livelli, e di contro hanno una sorta di termometro sulle cosiddette “malpratiche” accademiche, in particolare sul reclutamento dei docenti universitari. Questo perché le Università, in quanto istituzioni dedicate all’educazione del capitale umano, assumono un’importanza sempre più vitale per la competitività scientifica globale, lo sviluppo culturale e socio-economico dei paesi.

L’alta istruzione è il settore pubblico che possiede la maggiore capacità di influenzare il destino e il successo nella società, ha una grande influenza sui valori e le convinzioni dei giovani riguardo al bene e al male, al legale e all’illecito, incide maggiormente sulla selezione delle élite e della futura leadership delle nazioni. Ecco perché la mancanza di integrità accademica, combinata con la prevalenza di pratiche scorrette e altre forme di comportamento non etico, oltre ad essere un problema diffuso in quasi tutti i paesi del mondo, nelle università di massa e d’élite, e nelle istituzioni pubbliche e private, rappresenta una questione che non può non interessare le classi dirigenti a livello planetario. Essa inibisce l’accesso ai poveri, diminuisce le opportunità di acquisizione e formazione della conoscenza, la disponibilità, l’equità e la qualità dei beni e dei servizi educativi, abbassa il livello scientifico della ricerca. Tutti fattori essenziali per la competitività e la mobilità sociale di un Paese. Le istituzioni caratterizzate da negligenze accademiche erodono e indeboliscono, anziché rafforzare, l’integrità e la coesione sociale di una Nazione.

Gli studi esistenti e le prove empiriche suggeriscono che ci sono diversi tipi di pratiche universitarie irregolari e inappropriate. A livello individuale si può parlare di “pratiche scorrette” (non sempre soggette a misure legali), a livello istituzionale la negligenza accademica può nascondersi dietro i tradizionali pregiudizi accademici e le usanze che preservano il potere delle élite accademiche (se vengono applicate arbitrariamente, equivalgono a un comportamento scorretto sanzionabile), infine a livello di sistema, la negligenza accademica può derivare da circostanze sociali e politiche, specialmente quando le regole stabilite mancano di sistemi di controllo interno, scarsa supervisione esterna, sanzioni efficaci. Se è esercitata per compiacere poteri o gruppi dominanti equivale al clientelismo e alla corruzione.

Le ricerche condotte in Europa orientale, Romania, Ucraina, Nigeria e Cina, solo per citarne alcune, le più clamorose, indicano un grave problema di corruzione nell’istruzione superiore basata sui rapporti personali nelle assunzioni accademiche. In alcuni paesi il reclutamento accademico è caratterizzato come un processo informale in cui pochi potenti professori ne selezionano di nuovi attraverso meccanismi di cooptazione (che per essere virtuosa dovrebbe prevedere controlli continui e severi sulla produttività scientifica, in modo da responsabilizzerebbe il selezionatore) mascherati da concorso pubblico. Tali meccanismi spesso nascondono il fenomeno del favoritismo, che è stato esaminato in modo approfondito solo in alcune nazioni, come ad esempio la Turchia, l’Australia e la Spagna. Per quanto riguarda i paesi europei la questione è ancora più grave visto che esiste una regola di condotta materiale dei ricercatori e dei docenti sancita nella “Carta europea dei ricercatori. Il codice di condotta per il reclutamento di ricercatori” della Commissione europea. L’efficacia del reclutamento e della promozione dei docenti universitari, basata su trasparenza e schemi di incentivo al merito, è cruciale dunque per garantire pari e democratiche opportunità a tutti i ricercatori e alla ricerca dell’eccellenza nel sistema culturale e scientifico.

La domanda che vi pongo, a questo punto della trattazione, è la seguente: il caso dell’Italia in che posizione si può collocare?

Partiamo dall’analisi della letteratura scientifica straniera, visto che in Italia non esistono studi su questo argomento, salvo qualche inchiesta giornalistica o qualche ricostruzione saggistica un po’ datate. Diversi elementi strutturali suggeriscono il sistema accademico italiano come un sistema gerarchico, conformista, non aperto, non trasparente e non competitivo, con barriere all’ingresso per gli esterni rispetto ai dipartimenti che bandiscono i posti, barriere che diventano sempre più alte più cresce il rango accademico. Il grado e l’anzianità hanno un peso significativo in qualunque decisione, e la progressione di carriera è spesso assegnata non per il reale valore ma per il rispetto delle regole sociali che la gerarchia impone.

Una serie di studi empirici in riviste scientifiche estere (“The Lancet”, “Nature”, “Scientometrics”, “Studies in Higher Education”), rapporti giudiziari, articoli di giornale e servizi televisivi, hanno dimostrato che nel reclutamento italiano il merito scientifico è raramente il criterio prevalente per la selezione accademica, piuttosto incidono fattori di prossimità sociale e collaborazione di ricerca tra i candidati e i loro valutatori, oppure il numero degli anni di servizio nella stessa Università del presidente della commissione di concorso (vale sia per l’idoneità all’abilitazione scientifica nazionale, sia per i concorsi locali).

Tutto ciò, come ben capite, non comporta un miglioramento delle risorse umane e indica un sistema universitario che resta chiuso in se stesso, vittima di una oligarchia accademica. Anche e soprattutto per questo, oltre che per la carenza di fondi e risorse, nessuna Università italiana raggiunge la massa critica di eccellenza necessaria per svilupparsi come università d’élite e competere a livello internazionale (la prima università italiana si attesta intorno alla 200 posizione nel ranking).

Ad esempio, nella prima e seconda tornata di Asn (2012-2014), la metà delle commissioni aveva selezionato candidati che avrebbero continuato a raggiungere una produttività inferiore alla media nel loro campo di riferimento nel periodo successivo (un numero di vincitori del concorso che poi sono risultati totalmente improduttivi), mentre i candidati non selezionati hanno notevolmente superato i vincitori del concorso in termini di produttività e qualità delle pubblicazioni nel successivo triennio. Questa analisi mostra che la performance futura dei candidati che sono stati promossi e che avevano un debole legame con i valutatori era migliore di quella dei loro colleghi. Al contrario, i candidati di successo con un forte legame con i valutatori registravano prestazioni peggiori sia prima che dopo la loro promozione.

Alcune riviste scientifiche hanno individuato, inoltre, nel meccanismo di reclutamento italiano, ad esempio, il problema del cosiddetto “bando sartoriale” – ovvero ritagliare il profilo curriculare del bando con le caratteristiche di un candidato predestinato, dissuadendo così gli altri dal concorrere – indicandolo come un metodo ingiusto e scorretto per orientare il risultato. Inoltre in alcuni altri studi si evidenzia che sul reclutamento (2012-2019) delle Università toscane alla facoltà di Medicina (Firenze, Pisa e Siena), il 94,3% delle selezioni sono state vinte da scienziati o medici affiliati al dipartimento che bandiva e che il 73,9% aveva un solo candidato, quello che doveva vincere.

Il contesto italiano è particolarmente indicato per gli studi sulla negligenza accademica visto l’elevato indice di percezione della corruzione (Transparency International 2019 e World Bank 2018: 62%) e l’elevato tasso di favoritismo nei concorsi per il settore pubblico, che include anche la sfera universitaria. Secondo il Global Competitiveness Report, l’Italia è al 126 ° posto su 148 paesi per favoritismo nelle decisioni dei funzionari governativi. Il reclutamento italiano ha guadagnato una certa fama internazionale per le sue implicazioni di concorsi truccati, favoritismo, nepotismo e altre cattive condotte accademiche e pratiche scorrette (si pensi alla recente inchiesta della Procura di Catania su “Università bandita” che ha decapitato i vertici dell’ateneo compresi due rettori), in particolare confermate dall’elevato numero di ricorsi giudiziari accolti dai Tribunali amministrativi. Nel 2015 il presidente del TAR della Regione Lazio ha comunicato che ben 1240 procedimenti erano stati avviati dai candidati ai concorsi di abilitazione. Tuttavia, nonostante tutte queste evidenze, pare che l’Accademia italiana si consideri “legibus solutus”, cioè non vincolata da leggi dello Stato italiano.

Purtroppo la natura chiusa e insulare della comunità accademiche italiana comporta che gli studi e il dibattito su questi temi rimanga assolutamente limitato, per non dire soffocato. Un modo per affrontare questo problema è innanzitutto quello di creare consapevolezza all’interno della comunità scientifica globale e accademica europea sulla realtà del malcostume in ambito accademico, quindi dare la priorità a tale questione per ulteriori approfondite ricerche che permettano di contrastare il fenomeno.

Anche per questa ragione, nel 2017, è nata “Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo” (acronimo Tra-Me), una associazione non-profit che combatte gli episodi e il sistema di malaffare e corruzione dentro gli atenei italiani, promuove ricorsi e denunce ed è divenuta un interlocutore obbligato per le istituzioni e le forze politiche, con la proposta di cambiare radicalmente il sistema di reclutamento e di attuare una riforma complessiva dell’Università italiana, limitando la discrezionalità assoluta delle commissioni e prevedendo multe e sanzioni per i responsabili dei reati (questo è il sito web: http://www.trasparenzaemerito.org).

Fondata da appena dieci persone, l’associazione si è diffusa in tutto il territorio nazionale riuscendo, con grande sacrificio e fatica, in tre anni, a porre all’attenzione dell’opinione pubblica e anche della comunità accademica, con reazioni preoccupate e a volte violente da parte di molti docenti coinvolti nelle irregolarità, la delicata questione della poca trasparenza nei concorsi universitari e del non rispetto della legalità nella vita di molti dipartimenti italiani. È la prima volta che accade una cosa simile nella storia del nostro Paese (ma anche a livello europeo la costituzione di un gruppo simile è un’eccezione, se si esclude la “Romanian Academic Society” nel 2007), in un ambiente come quello accademico, assolutamente omertoso. Già circa 5400 persone avevano firmato il primo appello per una lettera da consegnare al Presidente della Repubblica nella speranza di un suo intervento forte a difesa del rispetto delle regole, in nome della Costituzione. Successivamente un Convegno Nazionale nel febbraio 2018, alcuni servizi televisivi (la7, Rai2, Mediaset) e un articolo a tutta pagina sul “Fatto quotidiano” dal titolo Un’altra Università è possibile, ha portato Tra-Me agli onori delle cronache dell’attualità. Di recente la rivista scientifica inglese “The Lancet” ha citato la meritoria attività dell’associazione in un articolo intitolato emblematicamente Asphyxia of Italian Academia.

A seguito dei ricorsi dei suoi iscritti sono state pubblicate importanti sentenze da parte della Giustizia amministrativa (ce ne sono centinaia ma quelle più significative ed epocali sono 25, riportate sul sito) e dei Tribunali penali che hanno creato dei precedenti giuridici formidabili e fondamentali in tema di bandi e concorsi universitari. Le irregolarità sanzionate dalla Giustizia amministrativa (Tar e Consiglio di Stato) in molti casi presentano anche dei risvolti penali. Non solo reati come falso, concussione, turbativa di procedimento amministrativo, ma anche lo stesso abuso di ufficio, in alcuni frangenti, può essere punito penalmente. Accade a volte che i commissari di concorso abbiano tenuto comportamenti apparentemente rispettosi della disciplina del regolamento universitario di riferimento ma in realtà poi i tribunali stabiliscono che una disposizione si possa ritenere violata anche nel caso in cui, pur formalmente rispettata, ne venga violata la ratio. C’è, in particolare, una importante sentenza del Tribunale di Catania, la n. 2241 del 2019, nella quale i giudici hanno stabilito che l’ingiusto vantaggio patrimoniale integra il reato di abuso di ufficio perché il favoritismo provoca un vantaggio patrimoniale per un candidato conseguito illegittimamente, con corrispondente danno erariale per la pubblica amministrazione. Questo comporta, contemporaneamente, il danno ingiusto per l’altro candidato ovvero viene violato il diritto di essere valutati in condizioni di parità ed eguaglianza con gli altri concorrenti. Questi casi non valgono solo per situazioni soggettive di carattere patrimoniale ma anche per l’aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come essa è tutelata dalle norme costituzionali. La prova del dolo intenzionale del reato di abuso di ufficio prescinde dall’accertamento della soggettività dei rapporti tra chi commette il reato di abuso di ufficio e la persona favorita, cioè dell’accordo collusivo, potendo essere desunta anche dalla “macroscopica illegittimità” dell’atto della condotta materiale dei commissari.

Sul piano numerico, l’associazione ha avuto una grande e rapida crescita, sia in termini di iscritti, sia in termini di segnalazioni e ricorsi. Oggi ne fanno parte ben 556 studiosi provenienti da quasi tutti i settori scientifico disciplinari, compresi tra i 20 e i 75 anni: 332 di sesso maschile e 224 femminile, divisi in: 95 tra professori ordinari e associati, 254 tra ricercatori (a tempo indeterminato e determinato di tipo “a” e “b”), e il resto (207) formato da varie tipologie di giovani studiosi (dottori di ricerca, assegnisti, borsisti, contrattisti), sparsi nei diversi atenei italiani in questa composizione geografica: 29% a Nord, 28% al Centro, 27% al Sud e isole, 16% dall’estero. Le Università più rappresentate in termini di associati sono Roma (Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre), Catania, Pisa, Torino, Milano e Padova. Si tratta ancora, purtroppo, di una esigua, seppure agguerrita, minoranza nel complesso della classe docente universitaria che conta decine di migliaia di unità. A questi iscritti vanno poi aggiunti i circa 3330 sostenitori sui social network che rilanciano e commentano le attività, cittadini e cittadine interessate alle questioni del miglioramento della legalità e della trasparenza dell’università e della ricerca, intesi come assi portanti del futuro del Paese.

Nel corso di 3 anni l’associazione ha ricevuto 512 segnalazioni certificate delle quali ben il 65% si sono poi trasformate in ricorsi amministrativi o denunce penali. A seguito della spinta propulsiva di Tra-Me i ricorsi amministrativi in ambito universitario sono aumentati del 40% nel corso degli ultimi 3 anni. La maggiore tipologia di irregolarità commesse è quella del bando sartoriale. Uno degli elementi di opacità più diffusi ai concorsi è il conflitto di interessi tra valutatori e valutati, cioè a dire la quasi totalità di collaborazioni e pubblicazioni in comune. L’altro aspetto che contraddistingue gli sviluppi delle procedure concorsuali soggette a contenziosi è la non esecuzione corretta delle sentenze della magistratura: vale per le commissioni di concorso che dopo le sentenze continuano a far vincere i candidati raccomandati predestinati (anche per 3 o 4 volte di seguito), vale per dipartimenti che cercano con vari mezzi di annullare i concorsi qualora l’esito non sia quello predeterminato. Circa 410 articoli/comunicati sono stati pubblicati sul sito nella sezione “notizie” su varie vicende di “Mala Università”.

Da oggi questo blog affronterà tutte le questioni toccate in questo articolo, riportando le storie vissute dai diretti protagonisti."

Giambattista Scirè

Storico, amministratore e responsabile scientifico di “Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo

(17 settembre 2020)


Leggi l'articolo integrale su "Micromega" del 17 settembre 2020




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