Oggi pubblichiamo, tra le tante che ci pervengono ogni giorno, due significative lettere. Molte sono anonime, altre (come queste) sono firmate. Rappresentano il volto dignitoso e fiero delle tantissime vittime dell'anti meritocrazia del sistema universitario italiano.
La prima è quella di un ex docente universitario che è stato costretto, per colpa dei discutibili e spesso illegali metodi in vigore negli atenei italiani ormai da anni, a cambiare mestiere: adesso è un insegnante nella scuola pubblica. Ci ha guadagnato, molto probabilmente, in salute. Il docente l'ha inviata ai maggiori quotidiani italiani ma non ha avuto alcuna risposta, tanto meno la sua accorata ed emblematica lettera è stata pubblicata.
La seconda è quella di un ricercatore costretto ad emigrare negli Stati Uniti e a proseguire l'attività di ricerca lì (per l'esattezza al Department of Modern and Classical Languages della George Mason University). Lui - a seguito di un concorso che avrebbe visto prevalere un altro candidato ma la cui commissione avrebbe scritto giudizi assolutamente superficiali nonché discutibili, con una comparazione tra i candidati che ha portato a giudizi non dettagliati e poco motivati - ha provato a inviare la lettera al Rettore dell'Ateneo che ha bandito il posto e al Ministero, senza ovviamente ottenere risposta.
E' un classico: il muro di gomma e il silenzio dell'Università. Spiace che a volte anche la stampa non ascolti il grido di dolore di persone che iniziano a non credere più nelle Istituzioni del nostro Paese.
Ci pensiamo noi di "Trasparenza e Merito" a renderle pubbliche dando voce ai colleghi, perché rappresentano il termometro della malattia dell'Università italiana.
* * *
1)
Quel che rimane dell'Università
Per quelli della mia generazione (sono nato nel 1969 e laureato in architettura nel 1993), l’ambiente universitario assumeva il significato dell’eccellenza, di un prezioso insieme di saperi veicolati da menti eccelse, ascrivibili con certezza alla categoria dei Maestri. Dopo la laurea, ho iniziato le mie prime esperienze professionali, senza dimenticare tuttavia la lezione ricevuta dai docenti più amati, avvertendo così la necessità di tornare ad approfondire e coltivare specifici nuclei disciplinari. Ho vinto, senza raccomandazioni, il dottorato di ricerca, ed in seguito ho svolto otto anni di docenza a contratto presso l’Università di Napoli “Federico II”. Quando si è trattato di arrivare al dunque, ovvero all’ingresso nei ruoli universitari a tempo indeterminato, mi si è parata dinanzi una muraglia invalicabile, dal momento che i posti di ricercatore si bandivano con il contagocce, e quei pochi messi a concorso erano già decisi in partenza dai soliti abili manovratori, ben noti a tutti nell’ambiente accademico. A complicare poi la situazione, dopo un’attesa più che decennale, è intervenuta la riforma Gelmini che, per incomprensibili ragioni di bilancio (sempre a discapito della cultura), ha definitivamente annullato il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato, lasciando intendere che ci sarebbe stata la possibilità di accedere direttamente al ruolo di professore associato (di fatto ci sono oggi svariate centinaia di abilitati senza posto di lavoro, ma con la medaglia dell’abilitazione appesa alle pareti di casa).
Capita l’antifona, ho comunque partecipato alla suddetta abilitazione per due volte: nel primo tentativo sono stato persino ingiuriato (al pari di tanti altri colleghi) da un pittoresco docente presente in commissione, poi ufficialmente ammonito dal Ministero; nel secondo tentativo mi è stato semplicemente detto che i miei quattro testi monografici più i numerosi articoli e saggi pubblicati su riviste non erano valutabili per via della loro data di pubblicazione, al pari di una scatoletta di cibo oramai scaduto!
Questo è il percorso di ricerca universitaria, mio e di tanti altri studiosi, usati e cestinati dall’Università italiana, in nome di vizi privati e leggi pubbliche. Tagliare le gambe a chi è abituato ad andare avanti con le proprie forze ha regalato al Paese una sorta di Post-Università in cui è sempre più evidente la presenza di portaborse e rampolli di quel sistema alto-borghese che si muove con disinvoltura nelle consolidate dinamiche degli scambi di favore. Il tempo per fortuna chiarisce le idee e sfuma i contorni dei ricordi sgradevoli, e poco importa se oggi, invece di insegnare in una Università sempre più corrotta e svuotata di senso, in cui da Nord a Sud si moltiplicano gli episodi oggetto di indagini giudiziarie, insegno al Liceo, in quella scuola italiana che non sarà esente da difetti, ma dove i diritti sono ancora garantiti.
Dispiace per i tanti che hanno sacrificato una intera esistenza in nome della ricerca, ricevendo in cambio soltanto la delusione di vedere salire in cattedra quasi sempre gli allievi dei docenti peggiori, persino privi di volumi pubblicati a firma individuale.
Chi ha lottato contro i baroni non può far altro che constatare come almeno questi, al di là della hybris dimostrata in taluni casi, fossero capaci il più delle volte di mettere in cattedra i docenti migliori. Oggi, in assenza di veri maestri, sono le cricche dipartimentali a sistemare le pedine più utili nel gioco
degli scambi di favore, avvalendosi proprio della riforma Gelmini, per cui o si viene buttati fuori dall’Università oppure si diventa associati (e persino ordinari). In altre parole, o tutto o niente!
Inutile ricordare che una simile porcheria si tiene in vita grazie a chi accetta le dinamiche della corruzione e si piega a tali logiche, rinunciando alla propria dignità per numerosi anni. Sono proprio coloro che ancora oggi provano a difendere presso l’opinione pubblica questo sistema, trovando il coraggio persino di parlare di merito, mostrando ancor meglio la faccia di bronzo forgiata nei lunghi anni di sottomissione e pellegrinaggio verso il potere. Questo resoconto, più che uno sfogo, vuole essere un monito verso le nuove generazioni, un invito a prestare attenzione alle proprie scelte di vita, ed in assenza di una rivoluzione copernicana che liberi l’Università italiana da simili incrostazioni, a cercare soddisfazioni lontano dal nostro Paese, in ambiti di ricerca ancora capaci di premiare il merito, la libertà e la dignità personale.
Rosario Di Petta
2)
Onorevole Signor Ministro Manfredi,
Le scrivo per manifestarle il mio sconcerto nato dalla lettura del giudizio che mi ha escluso dalla prova orale del concorso per un Ricercatore di tipo B, settore 10/F1 - L-FIL-LET10, in corso nel Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Ferrara (...)
Il giudizio espresso (in allegato) appare assai aleatorio dal momento che non considera tutte le pubblicazioni presentate e non è supportato da alcuna prova e motivazione specifica.
Nel dettaglio:
1. Una mia pubblicazione presentata tra le 12 consentite non è stata valutata secondo quanto previsto dall’articolo 3 del D. M. 243 del 25 maggio 2011 e come riportato nell’articolo 7 del Bando di concorso (in allegato).
2. I miei studi sono ritenuti "privi di un reale spessore critico".
Due miei volumi sono stati finanziati dal CNR per il loro "alto prestigio scientifico" (così motivarono). Altri si sono fregiati di prefazioni di illustri studiosi come i proff. Gibellini (premio Sapegno alla carriera) e Serianni.
I miei articoli sono stati rivisti e pubblicamente elogiati da proff. nazionali e internazionali (...)
Pubblicazioni che, oltre ad essere state recensite su riviste e quotidiani nazionali, mi hanno anche garantito l'Abilitazione Nazionale ad Associato nel 2014.
3. Le sedi editoriali vengono definite "non particolarmente rilevanti".
I miei articoli sono tutti usciti su riviste nazionali e internazionali di classe A Anvur.
I volumi sono stati pubblicati da editori di assoluto prestigio come l'Edizione Nazionale delle Opere di Gabriele d'Annunzio che pubblica sotto l'egida del Ministero, poi editori storici come Rizzoli e Morcelliana, la collana universitaria della Facoltà di Lettere di Ca’ Foscari presso Il Poligrafo e la collana di letteratura dialettale di Aracne diretta da proff. di fama internazionale: Gibellini, Haller, Martinoni, Oliva, Tesio.
Infine dalla lettura del mio CV emergono altre sconcertanti sviste.
Alla Columbia University di New York ho fruito di 2 borse di studio e non una come riportato.
Ho ricevuto 3 finanziamenti alla ricerca nel periodo 2017-2019 che non sono stati menzionati.
Ho partecipato come oratore a 16 convegni e non 11 e sono stato invitato a dare una conferenza pubblica in 13 università italiane e internazionali, altro parametro non menzionato.
Le esprimo tutto il mio disappunto per questa palese mancanza di obiettività nel giudizio che mi ha escluso da una competizione che, per sua natura, dovrebbe essere basata sul merito e sulla valutazione oggettiva di tutti i titoli e dell’intera carriera accademica di ogni candidato.
La ringrazio per l'attenzione e, augurandomi che la mia protesta possa essere tenuta in considerazione.
Le mando cordiali saluti,
Nicola Di Nino
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