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"Italia Oggi": Università mercato di cattedre

Aggiornamento: 24 mar 2021

L'ateneo di Catania è famoso per non voler eseguire nemmeno le sentenze della magistratura. L'ultima retata è stato preceduto da un caso inaudito. La recente inchiesta giudiziaria denominata “Università bandita”, partita dall’ateneo di Catania, ha scoperchiato un sistema di concorsi accademici pilotati e attuati con criteri non basati sul merito e la professionalità ma su logiche spartitorie dei baroni universitari. Il caso di Giambattista Scirè, ricercatore in storia vittima di questo sistema, risale al 2011 e coinvolge proprio l’Università di Catania. Un brano dell'intervista di Marco Ricucci su "Italia Oggi" del 1 agosto 2019.


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In questi giorni vi è una inchiesta della magistratura su presunti concorsi truccati dell’Università di Catania, con ramificazioni tentacolari in tutta Italia. Che ne pensa?

- Il fatto è che nell’università italiana i concorsi universitari sono già tutti decisi prima dell’esito (qualche volta può capitare che vinca anche il candidato migliore). Si sa sempre, in buona sostanza, chi sarà il vincitore. Gli altri candidati, in particolare i più preparati e titolati, o non partecipano per non creare problemi, oppure se partecipano sanno già che non vinceranno e che dovranno aspettare, buoni e zitti, ognuno il proprio turno. Decidono tutto, prima dell’esito, i dipartimenti che nominano (fanno finta di sorteggiare) le commissioni, creando una griglia di criteri di valutazioni in modo tale da modellarla sul profilo del predestinato. Chi si ribella a questa regola non scritta sarà tagliato fuori per sempre.

Perché è così in Italia?

- Chi non ha mai conosciuto il mondo accademico da dentro non può sapere che nella sua auto-rappresentazione quel mondo è impegnato a fare della scienza stessa un potere. Un potere così integrale, da pretendere l’assolutezza, l’arbitrio e l’insindacabilità. Ovviamente, con tutto il supremo carico del padrino o maestro il cui apporto alla legalità consiste non nel sottostare alle leggi ma, direttamente, nel farle. Perché gli atenei sono considerati come dei feudi, come il far west: le leggi dello Stato in essi non valgono, come è stato dimostrato nella non esecuzione di tante sentenze della magistratura. Tutto ciò induce i baroni a ritenere legittimi quegli atti che, per il normale comune cittadino, senza questa iniziazione accademica, si direbbero arbìtri, per non dire illeciti o abusi. In definitiva, come ogni corporazione degna di questo nome, per usare diciamo un eufemismo, quella accademica sa bene, ed è la prima cosa che viene insegnata, attraverso un vero e proprio rito di iniziazione, ad ogni cooptato, che i panni sporchi, come si dice, vanno lavati in casa, e che i favori tra raccomandati-vassalli e feudatari vanno prontamente ricambiati.

Che si può fare per arginare il fenomeno dei bandi “sartoriali”?

- Basterebbero delle semplici modifiche alla legge sul reclutamento: abolizione dei concorsi locali; sorteggio simultaneo delle commissioni con numero allargato a 7-10 membri; determinazione preventiva da parte del ministero per ciascun settore, dei punteggi minimo e massimo, espressi in centesimi, per tutti i titoli e pubblicazioni previsti dal decreto ministeriale; rideterminazione, secondo un modello più automatico, dell’abilitazione scientifica nazionale; penalizzazioni in percentuale sui fondi ordinari per gli atenei che si rendono colpevoli di non vigilare con i loro uffici sulle irregolarità (ad esempio il 5% in meno per chi propone bandi profilati, per chi non sanziona conflitti di interessi e illogicità di valutazione e non adegua le commissioni alle norme previste dall’Anac); sospensioni e multe pesanti per i commissari che si sono macchiati di irregolarità a livello di giustizia amministrativa o di reati penali ai concorsi.

Che cosa si sentirebbe di dire ai giovani ricercatori?

- Alla luce delle parole del procuratore Zuccaro durante al conferenza stampa sui risultati dell’inchiesta “Università bandita”, mi sento di invitarli a denunciare le irregolarità e a credere nei propri mezzi, nella propria preparazione, nel merito. Non è giusto darla vinta ad un sistema che, in molti casi, ha svilito l’immagine dell’istituzione universitaria. Non è bello vincere un concorso per gentile concessione o scambio di favore, questo sminuisce anche il candidato più titolato e preparato. Mi sento di dire: siate delle persone perbene, per non essere né conniventi, né complici. Solo isolando i comportamenti illeciti si potrà fare quel salto, quella rivoluzione culturale e creare così un ambiente più giusto, più legale, più trasparente, più meritocratico.

Ritornando al suo caso, lei non ha avuto “giustizia”, cioè la sua carriera accademica si è fermata di fatto nel 2011. Ha percorso altre strade professionali?

- No, non l’ho fatto per due ragioni. La prima è che mi sono concentrato, anima e corpo, prima sui ricorsi, studiando le documentazioni, proprio come se fossero documenti di ricerca storica d’archivio al quale ero abituato, e per fortuna i risultati in termini di sentenze si sono visti. La seconda è che poi ho dato vita, insieme ad alcuni colleghi, all’associazione, e questa missione ha assorbito totalmente le mie energie. Sarò un illuso, ma credo veramente nella possibilità di apportare grandi miglioramenti e modifiche al sistema universitario e così di poterne anche entrare, un giorno, a farne parte, come credo avrei meritato.

Che cosa prova ora, a livello umano?

- Non mi sono meravigliato quando è stato scoperchiato il vaso di Pandora con l’inchiesta catanese, perché so bene, attraverso la percezione che ho dalle segnalazioni all’associazione, dalle sentenze degli ultimi anni, che il sistema è quello in tutti gli atenei e in tutti i settori scientifico-disciplinari, si è sedimentato nel corso del tempo perché nessuno si è mai opposto, nessuno ha mai denunciato per paura di ritorsioni, per convenienza o per quieto vivere. La cosa che più mi amareggia è che l’ambiente universitario (sia sul mio caso, sia su questo recente scandalo) ha risposto allo stesso modo, ovvero col silenzio, arroccandosi su posizioni di potere e di privilegio, di casta, come un fortino asserragliato. Mi ferisce in particolare l’atteggiamento della gran parte dei docenti del settore, quello di coloro che un tempo mi erano colleghi ed amici e che, dopo la denuncia, sono spariti. E poi anche l’isolamento subito in termini di possibilità di collaborazioni."


Leggi l'articolo cartaceo su "Italia Oggi" del 1 agosto 2019



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