Come scrivono due recenti articoli di "Repubblica" (ed. Genova) e "Il Secolo XIX", ben dodici concorsi all’università di Genova sono stati contestati e censurati al Tar in un anno. E un commissario ministeriale è stato nominato dai giudici amministrativi proprio per vigilare sulla ripetizione di uno di questi.
Le bacchettate del presidente del Tribunale amministrativo della Liguria Riccardo Caruso, nel corso della recente relazione annuale, hanno spinto la "governance" dell’Università di Genova (come quella di altri atenei d'Italia) a correre ai ripari e a riscrivere i regolamenti.
Il concorso di cui si parla è quello a quale ha partecipato un collega, un amico di "Trasparenza e Merito", il grecista Claudio Bevegni che aveva presentato, come ricorderete, un ricorso per un posto da professore di prima fascia in Filologia classica e tardoantica, bandito dal dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia. La sentenza aveva accolto i suoi motivi, come ricordato nel pezzo su Micromega "Il momento rivelatore". I giudici spiegarono allora che gli effetti dell’ottenimento del posto si riflettono anche su altri aspetti poiché “la cessazione del rapporto di lavoro non elide gli effetti negativi degli atti impugnati, sia in termini morali e di immagine, sia sotto il profilo economico”. Non solo. La gestione del concorso era stata bocciata dai giudici per due aspetti riguardanti le procedure di composizione della commissione giudicatrice e la valutazione dei titoli dei candidati, con particolare interessante riferimento in sentenza all'Anac, che avrebbe "raccomandato alle Università di prevedere nei propri regolamenti che, per l’individuazione dei commissari nei concorsi per il reclutamento di professori e ricercatori, si ricorra al sorteggio basato su liste di soggetti in possesso dei requisiti per la partecipazione alle commissioni dell’abilitazione scientifica nazionale, con la specificazione che, nel caso di selezione di professori ordinari, i membri siano almeno cinque (di cui uno solo interno). Tali criteri non risultano recepiti nel regolamento di Ateneo in materia di chiamate dei professori di prima e seconda fascia all’epoca vigente né, peraltro, nel nuovo regolamento emanato nel 2019”.
Ma, come sempre accade, anche in questo caso alla fine l'ateneo non ha rinnovato in tempo la procedura ed ora è arrivata una nuova condanna da parte dei giudici per l'amministrazione, a pagare le spese legali e ad essere esautorata nella decisione di nomina della commissione. Deciderà, infatti, un "commissario ad acta" appositamente nominato.
L’Università di Genova è stata infatti commissariata dai giudici perché il termine perentorio in cui indire questo nuovo concorso è stato ampiamente superato e così il Tar ha deciso di nominare il segretario generale del Ministero dell’Università e della ricerca, o un funzionario dallo stesso delegato, che dovrà procedere alla rinnovazione delle operazioni concorsuali al posto dell'ateneo.
Come capite si tratta di un comportamento tutt'altro che corretto da parte di una istituzione che dovrebbe insegnare ai suoi studenti il rispetto di leggi e regolamenti e che, proprio per non averli rispettati, è stata condannata anche a pagare le spese legali della causa, 4 mila euro.
Purtroppo, come sappiamo bene noi di "Trasparenza e Merito", questo genere di comportamento è molto diffuso negli atenei italiani e la cosa più grave è che nessuna delle istituzioni preposte al controllo e alla vigilanza interviene mai. A partire del ministero, sempre più un ectoplasma privo di alcun ruolo politico vero, se non quello di baraccone che fornisce soldi che poi gli atenei gestiscono sulla base di logiche spartitorie, predatorie e clientelari.
Più in generale, la moltiplicazione delle cause è stata sottolineata recentemente dal presidente del Tar Giuseppe Caruso che ha parlato di segnali di “qualcosa nella macchina che non funziona bene” riferendosi alle procedure di selezione dell’ateneo genovese, ma alludendo al complessivo sistema di reclutamento universitario italiano.
Leggi l'articolo su "la Repubblica" (ed. Genova) del 12 marzo 2021
Leggi l'articolo su "Il Secolo XIX" del 15 marzo 2021
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